Libano, Siria, Iraq, Iran, Emirati Arabi, Azerbaigian, Uzbekistan e Yemen sono i Paesi visitati e fotografati dalla giornalista e studiosa Farian Sabahi, tra il febbraio 1998 e la primavera 2005: per la prima volta, una sessantina di questi scatti vengono presentati in una mostra.
È un intenso racconto, rigorosamente in prima persona, quello che il giornalista e scrittore Alberto Negri ha scritto per introdurre il volume che accompagna la mostra Safar: Viaggio in Medio Oriente. Vite appese a un filo, al via il 21 marzo al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino. “Ha ragione Farian Sabahi quando rimpiange l’epoca in cui attraversare il Medio Oriente era un viaggio, anche un’avventura, ma non una sfida contro la morte – sottolinea Negri. – Ci si poteva perdere ore e giorni in un bazar, davanti a rovine immaginifiche di civiltà scomparse, persino la dimensione del tempo veniva scandita diversamente da mezzi di trasporto come i cavalli, i cammelli o vecchie corriere così lente ad arrampicarsi sulle montagne del Kurdistan che non perdevi neppure un fotogramma del paesaggio.”
Aperta fino al 30 giugno e affiancata da un ciclo di tre lezioni sulla letteratura mediorientale – ogni incontro è dedicato ad un’autrice – la mostra riunisce una sessantina di scatti realizzati dalla giornalista e studiosa Farian Sabahi in Libano, Siria, Iraq, Iran, Emirati Arabi, Azerbaigian, Uzbekistan (dove è stata immortalata la fotografia in apertura) e Yemen tra il febbraio 1998 e la primavera 2005. Esposte in questa occasione per la prima volta, queste fotografie sono state originariamente realizzate in diapositive 100 ASA Fuji Sensia a colori e stampate per la mostra su carta museale opaca.
Nell’allestimento i visitatori potranno osservarle prive di cornici, ovvero “senza stretti confini”, ma appese a un filo da pesca per tonni: una scelta che intende evocare la precarietà della vita in Medio Oriente, appesa appunto a un filo, proprio come ricorda il titolo della mostra.
L’attenzione, di conseguenza, si condensa sulle scene di un mondo immortalato poco prima o immediatamente dopo terribili conflitti, i cui echi, a volte, si sono sommati alle cicatrici di precedenti scontri. Anche la scelta della parola Safar non è casuale: in persiano e in arabo, questo vocabolo vuole dire viaggio.
E, in effetti, la mostra racconta i viaggi di Farian Sabahi, ma nello stesso si rivela in grado di prendere per mano il visitatore e condurlo a sua volta altrove. A ricordarlo sono anche i versi del poeta di lingua persiana Rumi, ricamati dalla giovane artista Ivana Sfredda, che accolgono il visitatore: “Anche se tu non hai piedi, scegli di viaggiare in te stesso, versi volti ad evocare l’importanza del viaggio e dell’apertura alle culture altre nel processo di crescita personale“.