Pilastro della disciplina performativa, Ulay, all’anagrafe Frank Uwe Laysiepen, è morto all’età di 76 anni, dopo una lunga malattia. Lascia dietro di sé una intensa sequenza di azioni che spesso lo videro al fianco di Marina Abramović, per molto tempo sua partner nell’arte e nella vita.
Sta rimbalzando sul web la notizia della scomparsa di Ulay, nome d’arte di Frank Uwe Laysiepen, colonna portante del panorama performativo recente. A darne la notizia è stata la stampa slovena, rinsaldando il legame che da oltre un decennio univa l’artista a Lubiana, sua città d’adozione.
Mentre amici e colleghi ricordano Ulay con messaggi di cordoglio attraverso le proprie pagine social, appassionati e addetti ai lavori ripercorrono i capitoli di una carriera scandita dall’insaziabile desiderio di sperimentare, intrecciando pratica artistica e vita quotidiana e mettendo il corpo al centro di un linguaggio che trova nella performance una grammatica densa di possibilità.
L’incontro con Marina Abramović segnò in maniera indelebile l’esistenza – privata e professionale – di Ulay. I due si conobbero nel 1976 e da quale momento – e per oltre dieci anni – divennero partner nella vita e nell’arte, dando forma a un sodalizio sfociato in performance memorabili come i Relation Works, tra gli anni Settanta e Ottanta, emblema di un’idea di performance non distinguibile dalla vita e dalle relazioni di ogni giorno. Al termine della collaborazione con la Abramović, Ulay proseguì la sua carriera tornando alla fotografia – medium che lo accompagnava fin dagli esordi – senza tralasciare la componente performativa.