Oltre 100 opere di una delle più note protagoniste dell'arte contemporanea sono in mostra a Firenze fino al 20 gennaio prossimo. L'iniziativa, oltre a ripercorrere cinque decenni di produzione dell'autrice serba, mette in evidenza il rapporto di Marina Abramović, con l'Italia, sottolineando il ruolo rivestito da questo Paese nella sua vicenda biografica e nell'identità artistica.
L’attesa è finita: a partire da venerdì 21 settembre sarà finalmente aperta al pubblico la grande retrospettiva che l’Italia dedica a Marina Abramović, pioniera della performing art, legata al nostro Paese da una profonda relazione.
Organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, curata da Arturo Galansino, Fondazione Palazzo Strozzi, Lena Essling, Moderna Museet, con Tine Colstrup del Louisiana Museum of Modern Art e Susanne Kleine del Bundeskunsthalle Bonn, Marina Abramović. The Cleaner è uno dei grandi appuntamenti della nuova stagione espositiva fiorentina: riunisce oltre 100 opere dell’artista di origine serba, ricostruendo cinque decenni della sua produzione.
Il titolo dell’esposizione attinge a una riflessione della stessa Abramović sulla sua esistenza e sintetizza il metodo di lavoro condotto in questo progetto: “Come in una casa: tieni solo quello che ti serve e fai pulizia del passato, della memoria, del destino”, ha affermato la pioniera della performing art. Palazzo Strozzi nella sua interezza – dal Cortile, alla Strozzina fino al Piano Nobile – è coinvolto in questa “speciale narrazione”, che prende avvio dagli anni in cui “Marina non era ancora Marina“, come ha anticipato il direttore Galansino.
Seguendo un criterio cronologico e impiegando “tre livelli di lettura”, la retrospettiva analizza gli esordi dell’artista, che nella Belgrado degli anni Settanta si avvicinò all’arte in veste di pittrice, prima figurativa e poi astratta. Il successivo passaggio alla performance viene ripercorso attraverso opere come la serie Rhythm o The Freeing Series.
Ampio spazio viene assegnato agli interventi frutto della lunga collaborazione con l’artista tedesco ed ex compagno Ulay: nel percorso di visita, per l’intera durata della retrospettiva, performer appositamente formati “riporteranno in vita” alcuni dei loro più celebri lavori.
A Firenze, inoltre, vengono ricordate opere imprescindibili della carriera di Abramović: è il caso di The Lovers (1988), che sancì l’addio tra lei e Ulay a metà della Grande Muraglia cinese, e di Balkan Baroque (1997), grazie alla quale vinse il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia.
Arrivando fino agli anni Duemila, la retrospettiva combina video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni, oltre alla già citata esecuzione dal vivo, per celebrare una delle più controverse e influenti figure della scena artistica globale.
Dopo le monografiche di Ai Weiwei e Bill Viola, Palazzo Strozzi prosegue dunque nel suo progetto di “affiancamento” di noti autori contemporanei all’architettura rinascimentale dell’iconico edificio fiorentino. Nel corso del primo weekend di apertura della mostra – visitabile fino al 20 gennaio prossimo – il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino sarà sede di una conversazione tra Marina Abramović e Arturo Galansino: in questa occasione, l’artista affronterà alcuni temi del suo percorso esistenziale e creativo, con riferimenti alle tappe della sua carriera, prima in Serbia e poi in tutto il mondo.