Tina Modotti: storia di una fotografa (letteralmente) rivoluzionaria

24 Marzo 2019

Tina Modotti, Le mani di un lavoratore dell'edilizia, Messico, 1926

In corso presso lo spazio BDC28 di Parma, fino al prossimo 7 aprile, la mostra Tina – ideata da Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino in collaborazione con il progetto Bonanni Del Rio Catalog – si prefigge un obiettivo ambizioso: superare la (giustificata) attenzione che la biografia di Tina Modotti ha sempre avuto, per concentrarsi e rivalutare la sua arte.

Con un percorso espositivo di 80 fotografie, la retrospettiva ripercorre quindi la ricerca della Modotti a partire dagli anni Venti del Novecento, dove l’artista nata a Udine – e trasferitasi a 17 anni in California – approda con il suo maestro e amante, il famoso fotografo Edward Weston.
Sarà il Paese dell’America Latina a “risvegliare” la Modotti fotografa, grazie alla frequentazione di artisti del calibro di Diego Rivera e Frida Kahlo, ma soprattutto attraverso una partecipazione sentita ai moti rivoluzionari: attratta dalle tematiche sociali e quindi dalle rivendicazioni politiche, Tina Modotti diverrà un’autrice-attivista, una voce imprescindibile del racconto delle umili condizioni di vita dei lavoratori, così come delle manifestazioni anti-imperialiste che in quel momento animano i centri urbani del Messico.

La parabola artistica di Tina Modotti nasce e si esaurisce in meno di un decennio e un solo Paese, il Messico appunto: ne verrà espulsa all’inizio del 1930; pur trovando rifugio prima a Berlino e poi a Mosca, dopo i primi mesi di esilio deciderà di appendere al muro la macchina fotografica per dedicarsi esclusivamente alla militanza politica.

[Immagine in apertura: Tina Modotti, Le mani di un lavoratore dell’edilizia, Messico, 1926]