È il sesso il filo conduttore che lega i film premiati al termine del Festival di Roma. Trionfa “Marfa Girl” di Larry Clark, ma il pubblico contesta il premio ad una conturbante Isabella Ferrari
Una sonnolenta città al confine tra Texas e Messico. Una collettività chiusa nel pregiudizio, nell’apparente impossibilità di dialogo tra la comunità ispanica e quella wasp. Una società violenta, estrema come gli sconfinati e inospitali paesaggi desertici che fanno da scenografia naturale per “Marfa Girl”, il film di Larry Clark che vince il Marc’Aurelio d’Oro al Festival Internazionale del Film di Roma.
È attorno ad una sessualità disinvolta e disinibita che Clark basa l’evoluzione dei proprio personaggi, giovanissimi interpreti di uno spaesamento globale nei confronti della contemporaneità. L’emancipazione sessuale di teenagers senza più riferimenti culturali o ideali, diventa simbolo della prorompente e rivoluzionaria capacità della società di rigenerarsi, di evolversi a dispetto delle gabbie del conformismo più asfissiante.
Non mancano scene hard in “Marfa Girl”. Le stesse che hanno acceso le polemiche attorno a “E la chiamano estate”, che a dispetto dei fischi incassati al termine della proiezione in sala conquista il premio alla miglior regia, quella di Paolo Franchi; e quello alla miglior interpretazione femminile, assegnato ad Isabella Ferrari. Critica e pubblico divisi, contestazione anche nel corso della premiazione: una pellicola davanti alla quale, evidentemente, non si resta indifferenti.
Mette tutti d’accordo, invece “The Motel Life”, che conquista il premio per la miglior sceneggiatura ma anche quello assegnato dal pubblico. Una intensa storia di redenzione, con la vicenda di due fratelli chiamati a crescere troppo in fretta e ad affrontare i propri in consapevoli errori; una pellicola interpretata da una ormai matura Dakota Fanning, che si scrolla di dosso l’immagine dell’enfant prodige e guadagna sul campo lo status si star.