La sordità di Goya ne influisce il modo di dipingere: la verità sull’artista spagnolo in un saggio di Marco Belpoliti. E poi le straordinarie fotografie di Lisetta Carmi e il mito di Babele. In questi giorni in libreria
Ci sono opere d’arte che assumono valori altri, uscendo dai musei per diventare fortunatissime icone popolari. È il caso della Gioconda o de L’urlo di Munch, di Guernica o del David . Che cosa determina questo processo di trasformazione e democratizzazione dell’immagine? Provano a spiegarlo Francesca Bonazzoli e Michele Robecchi (con la complicità di Maurizio Cattelan) in Io sono un mito, in uscita a metà settembre per Electa.
Un immaginario da incubo, appesantito dall’inquieta presenza dei fantasmi dell’emarginazione. C’è la malattia, terribile e invalidante, dietro Il segreto di Goya svelato da Marco Belpoliti: nel saggio edito da Johan & Levi le prove della sordità che colpisce l’artista spagnolo appena trentenne, condannandolo ad una maturità gravata dall’incomunicabilità e dalla solitudine. Una condizione di estrema sofferenza, che finisce per influenzare pesantemente il suo estro creativo.
Vent’anni vissuti con la reflex in mano, documentando con sguardo lucido e insieme poetico le contraddizioni di un’Italia in trasformazione. Giovanna Calvenzi porta in libreria con le edizioni Bruno Mondadori Le cinque vite di Lisetta Carmi, fotoreporter di inarrivabile sensibilità, testimone dei piccoli e grandi drammi quotidiani che hanno segnato la società tra i primi Anni Sessanta e la fine dei Settanta.
Un’indagine lunga due secoli. Fatta di sondaggi, scavi, ricerca delle fonti, studi approfonditi. E oggi finalmente, possiamo Immaginare Babele: Mario Liverani pubblica con Laterza il saggio che fa luce su duecento anni di analisi legate al mito della città perduta. Un luogo reale che diventa spazio mentale, nell’eterna contrapposizione tra la cultura mediterranea e quella dei popoli del Medio Oriente.