Opere nate per essere distrutte: mancano poche ore alla demolizione del palazzo che accoglie “La Tour Paris 13”, lavoro collettivo condotto da ottanta street-artist internazionali. Che ha parigi hanno dato vita a uno straordinario museo effimero
È per sua definizione spontanea, irriverente, fuori dagli schemi; confinata per statuto in una dimensione aleatoria e soggetta dunque alle imponderabili del caso. Che la rendono, nonostante i recenti ingressi in musei e gallerie, tra le forme espressive più effimera della contemporaneità. La street-art nasce per il presente, senza preoccuparsi dell’eternità. Suona allora come una magnifica affermazione di identità La Tour Paris 13 . Il più grande museo “a tempo” mai realizzato.
Un palazzo sulla Rive Gauche della Senna, a un passo dalla Gare d’Austerlitz. Nove piani, trentasei appartamenti, 4.500 metri quadri presi in consegna da ottanta street-artist di fama internazionale. Circa sette mesi di residenza, convivenza, condivisione di pratiche creative che portano alla nascita di un articolato percorso visuale. Destinato a implodere con la distruzione dello stabile, programmata da tempo e fissata per il prossimo 31 ottobre.
Un’operazione significativa quella orchestrata da Mehdi Ben Cheikh, gallerista specializzato nel trattare con artisti underground. Il messaggio, forte e chiaro, invita a rivalutare la street-art come linguaggio capace di cambiare il volto delle città: anche e soprattutto quando questo agisce nei contesti più difficili e degradati. Le opere create per l’occasione, destinate ad una consapevole eutanasia, potranno salvarsi virtualmente solo grazie al popolo della rete: il sito del progetto conserverà le immagini che, a insindacabile giudizio del pubblico, risulteranno più amate.
Tanti i nomi di punta della scena mondiale che hanno aderito all’operazione: si parte dal brasiliano Claudio Ethos, che con la propria crew ha firmato la ragnatela che imbriglia la facciata, e si arriva all’universo urban-style e quasi fumettistico del francese Alëxone. Tra loro anche quindici italiani, concentrati dal curatore Christian Omodeo al terzo piano dell’edificio: dove si incontrano i pattern orientaleggianti del romano JB-Rock, le evoluzioni prospettiche dei solidi esplosi di Etnik, i folli personaggi pop di Hogre…