Una Keira Knightley in noir e il thriller con cui Anton Corbjin porta al cinema John Le Carré: emozioni forti per l’edizione 2014 del Sundance Festival, ai nastri di partenza. Non senza un tocco d’arte, firmato Marina Abramović
La sua distanza da Hollywood si misura, prima che sul piano prettamente concettuale, a livello geografico. Da un lato la calda e calorosa California, luminosa al punto da risultare stordente; dall’altro il desertico Utah, terra di spazi sconfinati e – almeno in questa stagione dell’anno! – di grandi freddi. Torna a Salt Lake City il Sundance Festival, la più importante rassegna internazionale di cinema indipendente: oltre sessanta le pellicole in gara per un evento in scena dal 16 al 26 gennaio.
Nato nel 1978 su iniziativa di Robert Redford, il Sundance si è trasformato in una vetrina imprescindibile per giovani talenti e visionari sperimentatori: qui hanno mosso i primi passi Jim Jarmusch e Quentin Tarantino, Steven Soderbergh e Robert Rodriguez; qui si confrontano e si misurano ogni anno le star di Hollywood che scelgono progetti di ricerca, affrontando film lontani dalle esigenze mainstream della fabbrica dei sogni.
C’è attesa per il noir Laggies , interpretato da Sam Rockwell e Keira Knightley; ma anche per Michael Fassbender, sempre più star, protagonista del Frank di Lenny Abrahamson. A mettersi in gioco la rockstar Nick Cave, all’esordio come protagonista con 20.000 Days On Earth , ma anche Anton Corbjin: il fotografo olandese torna dietro la macchina la presa a quattro anni di distanza dal suo ultimo film, traducendo per il grande schermo A most wanted man , thriller di John Le Carré.
Non poteva mancare, al Sundance, un pizzico d’arte. Con Allergy to Originality , corto animato che vede Drew Christie riflettere con ironia sul confine tra plagio e ispirazione; ma soprattutto con A portrait of Marina Abramović . Un altro cortometraggio, questa volta diretto da Matthu Placek (già a fianco di Julian Schnabel), per un ritratto che grazie alla tecnologia 3D restituisce con stupefacente lirismo la visione dell’artista.
[nella foto: A portrait of Marina Abramović di Matthu Placek]