Stoccolma: un’installazione firmata Kraftwerk

9 Gennaio 2014


Hanno cambiato il panorama musicale globale, innescando quella visionaria rivoluzione elettronica che avrebbe aperto le strade alla techno e a ogni possibile genere di ibridazione pop. I Kraftwerk hanno scritto una pagina fondamentale nella storia della cultura e del costume: non è dunque una sorpresa trovarli ospiti di uno tra i più importanti musei d’arte contemporanea d’Europa. La meraviglia, semmai, sta nello scoprirli nell’inedita veste di artisti visuali.

La band tedesca è tra i protagonisti di Dance machines , mostra che dal 22 gennaio il Moderna Museet di Stoccolma dedica ai modi con cui le avanguardie storiche hanno testimoniato e documentato il ballo. Pratica assunta a ideale momento di sintesi tra gli studi sul movimento e quelli rivolti a indagare lo spirito dell’uomo nella sua duplice natura, apollinea e dionisiaca; un focus particolare, ben circostanziato, capace di offrire nuove intriganti ottiche critiche.

Una cinquantina le opere selezionate dal curatore Jo Widoff, a coprire un arco cronologico che spazia dai primi Anni Dieci e arriva fino alla metà dei Trenta: un quarto di secolo segnato dalle ardite sperimentazioni futuriste – con Balla e Boccioni in testa – e dalle provocazioni di Marcel Duchamp; ma anche dalle spettacolari opere di Léger, Picabia e Sonia Terk Delaunay. Uno sguardo al passato, che si riversa inaspettatamente nel futuro. Con un salto al tempo stesso spiazzante e avvincente.

I Kraftwerk portano a Stoccolma la loro 1 2 3 4 5 6 7 8 , installazione multimediale tridimensionale che traduce in forma visiva il credo concettuale della band. Grandi schermi restituiscono i movimenti sincopati di manichini-performer tecnologizzati; algidi uomini-macchina, elegantissimi nello stile frutto della fantasia di Emil Schult, trasfigurati in fantasmi post-fordisti. Al centro di un cortocircuito temporale che avvicina il presente all’età d’oro dell’industrializzazione novecentesca.

[foto: Timo Ohler © Kraftwerk 2013, courtesy Sprüth Magers – Berlin London]