La danza come ambito di indagine visuale per le avanguardie storiche, partendo dal Futurismo e spingendosi fino a Dada. Al Moderna Museet di Stoccolma si creano inedite connessioni, portando in mostra anche il mito elettronico dei Kraftwerk
Hanno cambiato il panorama musicale globale, innescando quella visionaria rivoluzione elettronica che avrebbe aperto le strade alla techno e a ogni possibile genere di ibridazione pop. I Kraftwerk hanno scritto una pagina fondamentale nella storia della cultura e del costume: non è dunque una sorpresa trovarli ospiti di uno tra i più importanti musei d’arte contemporanea d’Europa. La meraviglia, semmai, sta nello scoprirli nell’inedita veste di artisti visuali.
La band tedesca è tra i protagonisti di Dance machines , mostra che dal 22 gennaio il Moderna Museet di Stoccolma dedica ai modi con cui le avanguardie storiche hanno testimoniato e documentato il ballo. Pratica assunta a ideale momento di sintesi tra gli studi sul movimento e quelli rivolti a indagare lo spirito dell’uomo nella sua duplice natura, apollinea e dionisiaca; un focus particolare, ben circostanziato, capace di offrire nuove intriganti ottiche critiche.
Una cinquantina le opere selezionate dal curatore Jo Widoff, a coprire un arco cronologico che spazia dai primi Anni Dieci e arriva fino alla metà dei Trenta: un quarto di secolo segnato dalle ardite sperimentazioni futuriste – con Balla e Boccioni in testa – e dalle provocazioni di Marcel Duchamp; ma anche dalle spettacolari opere di Léger, Picabia e Sonia Terk Delaunay. Uno sguardo al passato, che si riversa inaspettatamente nel futuro. Con un salto al tempo stesso spiazzante e avvincente.
I Kraftwerk portano a Stoccolma la loro 1 2 3 4 5 6 7 8 , installazione multimediale tridimensionale che traduce in forma visiva il credo concettuale della band. Grandi schermi restituiscono i movimenti sincopati di manichini-performer tecnologizzati; algidi uomini-macchina, elegantissimi nello stile frutto della fantasia di Emil Schult, trasfigurati in fantasmi post-fordisti. Al centro di un cortocircuito temporale che avvicina il presente all’età d’oro dell’industrializzazione novecentesca.
[foto: Timo Ohler © Kraftwerk 2013, courtesy Sprüth Magers – Berlin London]