Venti opere per declinare il fascino del bianco nella storia dell’arte: partendo dalla statuaria classica e arrivando a Lucio Fontana ed Ai Weiwei. Una mostra monocroma alla Chiesa Protestante di St. Moritz
Nella nostra società è sinonimo di purezza, traduzione cromatica di un candore principalmente spirituale; ma nella tradizione cinese e indiana è associato al lutto, al senso di perdita e dolore. Sono infinite le sfumature concettuali che assume il bianco, somma di tutti i colori che – in quanto tale – sembra ampliare il proprio spettro abbracciando molteplici riferimenti culturali. Documentati alla Chiesa Protestante di St. Moritz con una mostra mai così elegante.
Sono appena venti i pezzi scelti da Gian Enzo Sperone e Marco Voena per raccontare una parabola lunga duemila anni. Ma sono i testimoni migliori e più efficaci di una sensibilità che, con il passare dei secoli, vede mutare il rapporto e l’approccio da parte degli artisti; nella definizione delle infinite sfumature di un colore che si scopre caricato, di volta in volta, di pulsioni rinnovate. Nella costante tensione tra antico e contemporaneo.
Austeri i profili delle statue del II secolo dopo Cristo, affiancati alla morbidezza classicheggiante della Latona scolpita a fine Seicento da Gioacchino Fortini, sublime e originale variazione su un canone eletto a inarrivabile moderno. Dirompenti, pur nella loro ineguagliabile perfezione formale, le prove dei grandi maestri dello spazialismo: Lucio Fontana, presente ovviamente con uno dei suoi “tagli”, ma anche Enrico Castellani.
Passando attraverso le soluzioni di Agostino Bonalumi e Hans Arp si arriva ai nomi della più stringente attualità. C’è un inesauribile sarcasmo nel Brute di Tom Sachs, riproduzione in marmo del più classico bidoncino per la raccolta differenziata dei rifiuti; al marmo guarda anche Ai Weiwei, artista dissidente che realizza una serie di porte bianche. Tanto splendide quanto pesantissime. E dunque terribilmente, angosciosamente inamovibili.
[nella foto: Ai Weiwei, Marble Doors – 2010]