Una rassegna nomade, che occupa con una miriade di site-specific il cuore di una delle città più affascinanti del Mediterraneo. In scena fino a fine marzo la quinta Biennale di Marrakech
È stata inserita dall’UNESCO nella lista dei luoghi patrimonio dell’umanità. Non solo per le sue eminenze storico-artistiche, ma anche per quella tradizione tramandata oralmente nel corso dei secoli, preziosa testimonianza del valore incalcolabile dei beni intangibili. La memoria è di casa a Marrakech: ma non per questo la città marocchina chiude le porte in faccia al futuro. Tornando ad accogliere uno degli appuntamenti d’arte contemporanea più importanti del Mediterraneo.
È in programma fino a fine marzo la quinta edizione della Biennale che trasforma la città in vetrina per nuove espressioni creative. Where are we now? titola l’evento, scegliendo di tracciare una riga dopo le tumultuose – e non incruente – trasformazioni che hanno interessato il Nord Africa negli ultimi anni. Come hanno risposto a queste tensioni le generazioni di artisti che vivono e lavorano tra Marocco ed Egitto, come quelli del Medio Oriente? Cosa ha lasciato la Primavera Araba nel loro immaginario?
Sono oltre quaranta le firme invitate per la sezione dedicata alle arti visive, cuore pulsante di una rassegna che non rinuncia ad affrontare anche i linguaggi della letteratura, del cinema e del teatro. Scelta significativa quella del curatore Hicham Khalidi, che si avvale della collaborazione del museo Thyssen-Bornemisza per la selezione degli ospiti europei: la Biennale assume, fedele al proprio titolo, una dimensione nomade. Negando la staticità di una sola sede e occupando, invadendo pacificamente, diversi spazi della città con progetti site-specific.
Il turco Burak Arikan riflette sullo straniamento indotto dalla globalizzazione, giocando con un caleidoscopico mosaico di spot pubblicitari; mentre il franco-algerino Kader Attia porta la sua indagine a toccare il doloroso argomento del colonialismo. È un cortocircuito tra modelli culturali locali e occidentali anche quello proposto dal giovane marocchino Mustapha Akrim, che lavora sull’iconografia dell’indimenticabile Martin Luther King.
[nella foto: Can & Asli Altay, An Archipelago from the Mediterranean, 2014 Commissioned by Marrakech Biennale 5. Photo: Pierre Antoine]