Terremoti terrificanti e dittature sanguinose: diverse le ferite che hanno segnato la storia recente del Nicaragua. La nona edizione della Biennale d’arte del piccolo Paese centroamericano prova a riflettere sull’idea di memoria collettiva
Per una nazione la cui età media supera di poco i ventitré anni il ricordo del passato assume connotati quasi magici, avvolti da una coltre indefinita e sfuggente. A maggior ragione se quella stessa nazione è stata a lungo, e fino ad un’epoca molto recente, vittima di una dittatura violenta e sanguinaria. Indispensabile per il Nicaragua riflettere sul concetto di memoria, individuale e collettiva, tema della nona edizione della Biennale d’arte che la piccola repubblica centroamericana ospita da queste ore e fino al prossimo 12 aprile.
Un evento che tocca più location nella capitale Managua e nelle città di Leon e Granada, appuntamento che vede la partecipazione di artisti in arrivo da diverse aree del mondo: spaziando dal vicino Messico (con l’artistar Teresa Margolles) all’Italia. Un lungo viaggio quello che ha portato Andrea Galvani sulle sponde del lago Nicaragua, specchio d’acqua di origine vulcanica dal quale inquadrare la misteriosa isola di Ometepe: teatro del video The End , riflessione poetica che trasmette il senso di dirompente potenza energetica della natura.
Il tentativo di costruire attraverso l’arte un comune sentimento del passato affronta, con linguaggi e sensibilità diverse, le grandi tragedie che hanno segnato la vita del Paese. Partendo dalle catastrofi naturali, con la serie di terrificanti terremoti – l’ultimo bel 1972 – che hanno decimato la popolazione tra Ottocento e Novecento; e arrivano all’esperienza della dittatura di Somoza. Oggetto della performance ideata da Alejandro de la Guerra.
La statua che ritraeva il tiranno, distrutta dalla furia della popolazione nei giorni caldissimi della sua deposizione, viene ricreata e ricollocata dall’artista al posto che ha occupato per anni. Si ripete, sotto la sollecitazione dell’artista stesso, l’atto della distruzione; con le ultime generazioni a partecipare idealmente del momento fondativo della rinnovata identità nazionale. Un momento documentato in forma di video – nell’ideale rimando alle rivoluzioni 2.0 che hanno contraddistinto la Primavera Araba – e che vede i frammenti della finta statua musealizzati. Nella costituzione di una archeologia del presente.
[nella foto: un’opera di Joaquín Segura per la Biennale del Nicaragua]