C’è un po’ di Frida Kahlo in ognuno di noi: così Brunella Andreoli, che parte dalla biografia dell’artista per portare al Teatro Leonardo di Milano il suo “Inseparabili”. Racconto dove si intrecciano vissuto personale e memorie d’autore
Ha amato, sofferto, combattuto, creato, riso e pianto sempre al massimo delle proprie forze; ha incarnato il senso stesso della sfida che l’uomo lancia al proprio destino: domandolo, piegandolo nonostante tutto. Nonostante le sofferenze inferte dalla malattia alla carne; nonostante quelle, forse ancora più atroci, inflitte dalla cieca meschinità dell’uomo. È stata un’eroina, Frida Kahlo: la sua vita – la più classica delle vite da romanzo – finisce oggi a teatro.
È in cartellone fino al 29 marzo al Leonardo di Milano il voluto ossimoro di Inseparabili , spettacolo a più voci che vede letteralmente sdoppiata la figura di Frida: scissa nei suoi caratteri distintivi. Da un lato l’indole volitiva, sovraeccitata di un’energia purissima, gioiosamente ingenua e fanciullesca; dall’altro il volto malinconico e meditabondo, segnato dalle cicatrici. In mezzo la voce di una narratrice dirompente, che gioca a perdersi nelle ironie del flusso di coscienza per poi ritrovarsi in una tenera complicità con l’artista.
È Brunella Andreoli, autrice e regista oltre che prima interprete, a cucire su Frida Kahlo l’abito di una eterna empatia al femminile: trasfigurando il vissuto dell’artista nel proprio, con senso del tragico e attraverso un umorismo che strizza l’occhio al puro cabaret. Non è così eresia passare dalla rivoluzione di Zapata alla contestazioni studentesche nell’Italia degli Anni Settanta, dalla stessa Frida alle evoluzioni di Nadia Comaneci.
Divise sul palco le anime della Kahlo, interpretate dalle giovani Gaia Barbieri e Rossella Guidotti; ma infine riunite e dunque davvero inseparabili nel tornire le complessità di una figura dal fascino assoluto. Raccontata alla luce del rapporto conflittuale con Diego Rivera, sfibrante amore di tutta una vita; cantata con poesia e ironia, fino a comporre l’immagine di una donna che incarna, nella sua altalena di forza e debolezza, il senso stesso della vita.