Jean Arp incontra Osvaldo Licini. In mostra a Lugano

14 Aprile 2014


Non si sono mai frequentati. L’uno immerso nella frizzante atmosfera della Parigi degli Anni Trenta prima, trasferitosi nel cuore dell’Europa poi; l’altro legato in modo viscerale al proprio territorio, ad un’Italia rurale vissuta come spazio per la più solitaria contemplazione. Caratteri opposti quelli di Jean Arp e Osvaldo Licini, ma sensibilità artistiche straordinariamente complementari. Come conferma la mostra accolta fino al 20 luglio al Museo d’Arte di Lugano.

Centocinquanta opere, testimoni di percorsi convergenti lungo i sentieri dell’arte, segni di una comune riluttanza all’omologazione, all’adesione formale a correnti e movimenti; prove di una necessità espressiva che parte da urgenze simili per approdare a risultati unici, liberi, indipendenti. Ma legati tra loro da una inconsapevole sintonia. Quella che si respira nella tensione verso l’astrattismo, declinazione formale che punta a fotografare ciò che va oltre il reale.

In Arp la grammatica della natura sensibile si scompone nei suoi elementi fondamentali, semplificando nella purezza della linea e nella pulizia forme antropomorfe e nature morte, paesaggi e elementi grafici; ricondotti ad una elegante danza di linee sinuose. Là dove l’immaginario di Licini si popola, invece, di fantasmagoriche ed evanescenti presenze, sembianti di una forza densa di spiritualità.

Per appropriarsi della profonda carica innovativa di entrambi è indispensabile riferirsi al contesto del periodo in cui Arp e Licini creano. Ecco allora il confronto allargarsi e trasformarsi da dialogo a coro a più voci: con le sculture di Rodin e le tele di Matisse e Modigliani, maestri da cui trarre ispirazione; e con i pezzi di Klee e Magnelli, Albers e Kandinsky. Artisti coevi anch’essi interpreti di un percorso di squisita unicità.

[nella foto: Osvaldo Licini La patetica 1949-50 Olio su tela 81 x 100 cm Collezione privata, Courtesy Lorenzelli Arte, Milano Foto: Archivio Lorenzelli Arte, Milano]