Le arcaiche modernità di Campigli. In mostra alla Fondazione Magnani Rocca

7 Aprile 2014


Le sue sono figure ieratiche, assise in una elegante bidimensionalità. Hanno sguardi eterni, classici nel senso più viscerale del termine: rifiutano, dell’arte antica, la sublime lezione plastica dei grandi maestri della statuaria; guardando semmai all’istintività rituale comune a tutte le popolazioni del bacino del Mediterraneo. Eleggendo a modello, piuttosto, i celeberrimi enigmatici ritratti del Fayyum. Un corto circuito tra passato remoto e arte del Novecento quello della pittura di Massimo Campigli.

La Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo, nella bassa parmense, ospita fino al 29 giugno l’imponente retrospettiva che saluta uno dei più grandi artisti italiani del Novecento. Italiano, già. Ma sarebbe più corretto definirlo cittadino europeo: per anagrafe, cultura, scelte di vita e artistiche. Nato a Berlino da una ragazza madre, tedesca, che per fuggire dagli scandali lo fa crescere nelle campagne intorno a Firenze, Campigli si divide tra Milano e la Toscana, la Germania e la Provenza.

Circa ottanta le opere in mostra, a coprire un percorso creativo che va dagli Anni Venti alla fine dei ruggenti Sessanta; una prima assoluta, rappresentata dalle quattro tele di grandi dimensioni che l’artista scelse di tenere nel proprio atelier fino ai suoi ultimi giorni e poi, nel giardino della Fondazione, la serie di maestosi mosaici che rinsalda – se ancora ce ne fosse bisogno – il legame intimissimo tra l’artista e l’immaginario classico.

Nella semplice purezza della linea, in una pennellata a tratti ridotta ad una essenzialità dichiaratamente infantile, Campigli riesce nel miracolo di trasformare l’idea tutta occidentale del tempo lineare in quella di una dimensione circolare. Dove tutto torna, in un flusso costante e ininterrotto di suggestioni visuali che tendono alla bellezza assoluta. Incarnata in sorrisi appena abbozzati e sguardi pungenti di donne trattate come muse e dee.

[nella foto: Massimo Campigli, Le spose dei marinai, 1934]