Video e installazioni ambientali, per uno sguardo che gioca con l’immaginario di un esotismo dal fascino mitologico e ci riporta al cinema delle origini. João Maria Gusmão e Pedro Paiva incantano all’Hangar Bicocca di Milano
Cosa contraddistingue, nell’immaginario collettivo, il pappagallo? La sua capacità di riprodurre suoni e, dunque, di creare l’illusione della parola. Ma cosa accade se ci troviamo alle prese con un esemplare muto? Si scatena una menzogna percettiva, un ironico cortocircuito che mette in crisi le nostre apparentemente granitiche certezze. È su questo paradosso che si gioca Papagaio (“pappagallo” in portoghese), appuntamento tra Milano e la coppia formata da João Maria Gusmão e Pedro Paiva.
Difficile limitare alla definizione di mostra ciò che accade, fino al prossimo mese di ottobre, negli spazi dell’Hangar Bicocca. Perchè per ammissione dello stesso Vicente Todolì, curatore – ma sarebbe meglio dire sceneggiatore – dell’evento, quella che possiamo considerare come la più importante retrospettiva mai dedicata alla coppia di artisti lusitani è in realtà materia viva, calembour visuale che sceglie di eludere la produzione scultorea e fotografica del duo per guardare alla loro straordinaria capacità di usare l’immagine in movimento.
Dieci opere di video-arte, tutte prodotte negli ultimi dieci anni, tutte rigorosamente senza sonoro: con la cattedrale laica dell’Hangar a riecheggiare il ticchettio incalzante della pellicola che gira nei proiettori, con i contorni vaporosi dei diversi soggetti a spargere la propria aura fantasmagorica in un accumulo di riferimenti, sensazioni e suggestioni dal fascino assoluto. Ogni frammento visuale contribuisce così a creare, nella simultaneità della multivisione, un mosaico di poetica eleganza.
Già selezionati da Massimiliano Gioni per la sua Biennale di Venezia, Gusmão e Paiva confermano a Milano la propria raffinata carica narrativa, esplorando ambienti in bilico tra l’esotico e il postmoderno. Ai video di accompagnano le installazioni ambientali che gli artisti hanno modulato pensando al concetto di camera oscura, esplorando dunque il terreno mitologico del cinema delle origini. Insistendo nella loro azione di sublime frammentazione estetica del tempo.