Francesca Woodman e gli altri. Sei fotografi per un gallerista

15 Agosto 2014


Il suo mestiere, semplificando all’estremo, è quello di vendere opere d’arte. Ma non è un gallerista come tutti, Massimo Minini. È da quarant’anni, da quando cioè ha cominciato l’attività nella sua Brescia, una figura di assoluto riferimento per l’arte la scena contemporanea in Italia: un filosofo e un curatore, un autentico intellettuale. E anche, ovviamente, un collezionista. Come abbiamo avuto occasione di osservare, recentemente, con la grande mostra allestita alla Triennale di Milano. Come ci conferma oggi un altro piccolo grande progetto.

La location, meno famosa ma altrettanto affascinante, è quella di Palazzo Barbò: una dimora storica vecchia di quattro secoli, stupendamente affrescata da Bernardino Campi nello sperduto Torre Pallavicina, borgo agricolo di pianura all’incrocio tra i territori di Bergamo, Brescia e Cremona. È qui che fino al 30 agosto restano allestite le Sei camere chiare  ideate da Angela Madesani, curatrice attenta nel leggere la collezione di fotografie raccolte negli anni da Minini.

In ognuno dei sei ambienti scelti per l’esposizione si dipana il lavoro di un artista, nel delicato inedito rapporto tra la meraviglia di un contesto fortemente caratterizzato e le specificità di ciascuna parabola espressiva. Partendo dagli effetti retrò dei nudi artistici con cui Wilhelm von Glöden immortalava acconciati da personaggi mitologici, nella Sicilia di fine Ottocento, giovani carusi e umili pastori.

Alla poesia del corpo guarda anche Francesca Woodman (nella foto), enigmatica e insondabile; mentre in età fascista Ghitta Carell fissa su pellicola sguardi e volti di una middle-class inquieta. Dalle forme poetiche di Georges Van Tongerloo agli altri ritratti di Julia Margareth Cameron si arriva, in fine, ai paesaggi italiani di Luigi Ghirri. Paziente testimonianza di un Paese che stenta a riconoscere se stesso.