Con centoventi pezzi esposti è la più importante retrospettiva mai realizzata in Italia sull’opera di Giovanni Segantini. Milano celebra, a Palazzo Reale, il talento di un grande della pittura dell’Ottocento
Giace distrutta dalle fatiche del giorno, vinta da un sonno che porta pace e ristoro. Tiene in grembo il suo bambino, il volto acceso dei riverberi di un lume che sembra preso in prestito dalle tele di Georges de La Tour; accanto a lei, nella stalla intiepidita del calore dei loro corpi, la mole placida di una vacca da latte e quella del suo vitello. È nella struggente poesia agreste de Le due madri che si racchiude in modo esemplificativo il percorso di Giovanni Segantini. In mostra oggi a Milano.
Palazzo Reale ospita la più grande retrospettiva mai dedicata, in Italia, al pittore trentino: figura solitaria, quasi eremitica, che ha saputo attraversare con squisita originalità la seconda metà dell’Ottocento. Lambendo di striscio gli struggimenti romantici per arrivare, con la maturità, ad essere insieme ad Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza uno dei più apprezzati interpreti della tecnica divisionista. Applicata a un immaginario di intima suggestione, che sconfina nel Simbolismo.
Un uomo di montagna, Segantini. Nato ad Arco di Trento ha scelto di passare i suoi ultimi anni nell’isolamento dell’Engadina: abbracciato da immensi silenzi, vinto da inesprimibili suggestioni. È in fondo, sempre e comunque, arte sacra la sua: sia quando affronta il tema in modo esplicito – vedi la straordinaria serie dell’Ave Maria a trasbordo , ampiamente documentata in mostra – sia quando indugia sulla narrazione passionale dei suoi paesaggi, della sua gente.
Sono tutte madonne le sue contadine, tutti santi i suoi zappatori; liberati dalla tumida sofferenza che alle classi più umili attribuiva ad esempio un Van Gogh, elevati a condizione semidivina di depositari delle chiavi dell’equilibrio tra l’uomo e la natura. Un’elegia, un inno alla semplice magniloquenza di luoghi che si pongono, nella loro muta bellezza, come testimonianza dell’imperscrutabile meraviglia dell’assoluto.