Primo premio ex aequo per la diciannovesima edizione del Milano Film Festival: vincono l’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy con “The Tribe” e il messicano Ricardo Silva con “Navajazo”, che bissa il successo di Locarno.
Entrambi troppo belli, ricchi di suggestioni contrastanti nella loro assoluta diversità. Con il primo a sovvertire le regole della narrazione tradizionale, nel segno di una struggente e dura delicatezza; l’altro a colpire il pubblico con la crudezza di una verità senza filtri. La giuria della 19esima edizione del Milano Film Festival non riesce a raggiungere un verdetto unanime. E così, sul palco del Teatro Studio, sono due i titoli premiati nel corso dell’ultima serata della rassegna.
Il sipario cala sul trionfo ex aequo di The tribe dell’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy e di Navajazo del messicano Ricardo Silva: finisce con un sostanziale pareggio quella che, già alla vigilia, era stata indicata dagli addetti ai lavori come la sfida più probabile per il successo finale. Premio del pubblico al turco Hüseyin Karabey per Come to My Voice ; il Comandante dell’italiano Enrico Maisto merita invece il premio Aprile, riservato alla pellicola che meglio incarna lo spirito del festival.
Più diversi non potrebbero essere i film vincitori di quest’anno, segno dello sguardo poliedrico che il festival sa lanciare sulla scena contemporanea. The tribe rappresenta uno splendido azzardo, con la trama tessuta all’interno di una comunità di sordomuti e dunque l’esclusivo ricorso al linguaggio dei segni, scelta che carica ogni scena di una fisicità dirompente; Navajazo (nella foto), Pardo d’oro a Locarno nella categoria riservata elle opere prime, propone invece una discesa nell’inferno di Tijuana, tra spacciatori senza scrupoli e improbabili boss di quartiere.
Attenzione al capitolo cortometraggi, presenza di qualità che caratterizza da sempre la programmazione del festival. A vincere il premio per il miglior titolo di questo 2014 è Smile, and the World Will Smile Back , progetto di cinema-verità ideato dal regista israeliano Yoav Gross: dietro la macchina da presa una comune famiglia palestinese, quella degli Al-Haddad, che dal 2008 documenta “dall’interno” le continue violazioni dei diritti umani perpetrate agli abitanti di Hebron.