Milano Film Festival, i film in concorso 15 Settembre 2014
Fragili squali della finanza, narcotrafficanti messicani, talentuose ballerine hip-hop, operai disillusi... Ricco il parterre del Milano Film Festival. Ecco i film che si sono contesi il primo premio
Age of Cannibals (Germania) – di Johannes Naber
Il mondo di Öllers e Niederländer, ricchi consulenti di una multinazionale, è fatto di avidità e sciacallaggio dei clienti. Vivono una routine fatta di camere di hotel di lusso, dove la geografia non conta e la realtà esterna è esclusa. Un dramma critico sulla finanza d’oggi, grottesco e dal ritmo serrato.
Brides (Georgia/Francia) – di Tinatin Kajrishvili
Nutsa e Goga si amano molto. Goga è in prigione, e i due sono costretti a sposarsi perché il sistema carcerario georgiano consente le visite solo a persone coniugate: così potranno passare un giorno e una notte insieme. Un film delicato ed emozionante, che lascia il pubblico senza fiato.
Brooklyn (Francia) – di Pascal Tessaud
Coralie vuole fare hip hop, e vuole farlo a Parigi. Trova lavoro come cuoca in un’associazione musicale nella banlieu di Saint Denis, dove conosce Issa, la stella nascente. Film realmente corale, dove i personaggi sono tutti cantanti hip hop attorno alla stella KT Gorique, è un racconto sul potere liberatorio della musica.
Comandante (Italia) – di Enrico Maisto
Francesco Maisto, padre del regista, è stato giudice di sorveglianza a San Vittore negli anni di piombo. Felice è da sempre un comunista, ex-militante di Lotta Continua. Sono grandi amici. L’umanità è il fil rouge di questo documentario, intimo e sincero, che parla di amicizia e di urgenza politica
Come to my voice (Turchia) – di Hüseyin Karabey
L’esercito turco irrompe in un villaggio curdo e arresta gli uomini, sospettati di terrorismo, minacciando di non rilasciarli fin quando non saranno consegnate le armi che stanno cercando. Una donna anziana e sua nipote intraprendono un lungo viaggio alla ricerca di una pistola da barattare in cambio del loro caro.
Forma (Giappone) – di Ayumi Sakamoto
Due ex compagne di liceo si ritrovano, dopo nove anni, a lavorare insieme. Ma i primi turbamenti cominciano a manifestarsi: gesti che raccontano di gerarchie e subordinazione, o fantasmi di vecchi rancori che tornano in superficie? Dramma dell’ambiguità, claustrofobico thriller nel Giappone di oggi.
Le sedie di Dio (francia) – di Jérôme Walter Gueguen
Jérôme vuole fare un film che incarni i nostri tempi e la sempiterna crisi del presente: quale soggetto, dunque, migliore delle sedie, vero simbolo di ogni ragionamento semiologico, strumenti quotidiani di utile semplicità, incarnazione perfetta di ogni processo produttivo?
Navajazo (Messico) – di Ricardo Silva
Viaggio antropo-lisergico negli abissi di Tijuana, “Navajazo” esplora, fuori da ogni schema di genere, una terra di confine dove si mescolano homeless e produttori pornografici, cantanti goth e junkies. Ne emerge un’umanità senza speranza di redenzione, sul margine di un abisso che non ha fine.
Somos Mari Pepa (Messico) – di Samuel Kishi Leopo
Alex e i suoi amici passano l’estate bighellonando nei parchi di Guadalajara, ma hanno anche un obiettivo come punk band (il loro nome è Mari Pepa): doppiare il successo raccolto con la loro prima canzone, “Natasha”. Un film dolce e amaro, sul passaggio delicato tra l’età dell’innocenza e quella dell’esperienza.
The Tribe (Ucraina) – di Myroslav Slaboshpytskiy
Carrellata di immagini dai dieci film che hanno concorso alla diciannovesima edizione del Milano Film Festival. Il vincitore? Decliniamolo al plurale! Quest’anno il primo premio va ex aequo a Navajazo di Ricardo Silva e a The Tribe di Myroslav Slaboshpytskiy.