La video arte dei Masbedo alla Fondazione Merz

3 Ottobre 2014


Cosa anima il loro fare arte? La seduzione del rischio, la necessità impellente di mettersi costantemente in discussione: saggiando percorsi non convenzionali, camminando nel campo minato delle proprie incertezze. Esorcizzate, deframmentate, trasformate in pretesto per dare libero sfogo ad una creatività di straordinaria freschezza e originalità. Presupposti affascinanti quelli che muovono i Masbedo, duo oggi in mostra alla Fondazione Merz di Torino.

La convenzione delle etichette impone che vengano definiti video artisti, poiché è proprio il video l’output per il quale sono più noti: basti pensare al successo della loro partecipazione, nel 2009, al Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Ma è difficile inquadrare il lavoro dei Masbedo secondo uno schema narrativo predefinito. Perché nei loro lavori, fin dagli esordi nei primi Anni Zero, si misura una felice commistione di generi che rivelano la propria ineluttabile complementarietà.

Nove le opere scelte per raccontare un decennale percorso di ricerca: si parte da 11.22.03  , lavoro germinale che porta in nuce tutti gli aspetti che diventeranno in seguito cifra stilistica irrinunciabile, con la telecamera a catturare la fisicità di Ramon Tarès, leader della Fura dels Baus, in una drammatica ed empatica azione scenica accompagnata dalla musica dei Bluvertigo e da pagine di classica.

In mostra anche l’omaggio, ad hoc, all’ideale padrone di casa. Quel Mario Merz, fantastico interprete dell’Arte Povera, cui è intitolato lo spazio che oggi accoglie i Masbedo: generosi nell’invitare una quindicina di firme internazionali – dal mentore Jan Fabre fino ai più giovani Marzia Migliora e Shaun Gladwell – a dare la propria visione di Lumaca , celebre opera video realizzata da Merz nel 1970. Un lavoro collettivo che getta un ponte tra il passato e il futuro.