Giotto a Lucca. Nel nome di Francesco

12 Novembre 2014


Avrebbero potuto sanarle tutte, quelle cicatrici. Cucire e suturare, in una parola coprire – e dunque obliare – correndo però così il rischio di cancellare dalla memoria una pagina tanto drammatica da richiedere la necessità del ricordo. E così i restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze hanno scelto, sotto la direzione di Paola Bracco, di lasciare su quell’opera un segno. Microscopica voragine di orrore, a segnare per sempre la memoria collettiva.

La Madonna di San Giorgio alla Costa , capolavoro assoluto di Giotto, non dovrebbe essere qui, esposta fino al prossimo 6 gennaio nella Chiesa di San Franceschetto in Lucca. Non dovrebbe essere più. Punto. È solo per un caso che l’opera, tra i tesori della pittura medievale italiana, si è salvata dal vergognoso attentato mafioso all’Accademia dei Georgofili, dalla bomba che ha scosso Firenze nel maggio del 1993. Eppure c’è, più forte della barbarie, sopravvissuta come per miracolo.

Un lavoro minuzioso quello che ha permesso di rimuovere le decine di schegge che quella notte di vent’anni fa ferirono la pellicola pittorica, rischiando di privare il mondo di un’opera di inestimabile valore; una cura certosina quella che ha portato le abilissime mani dei restauratori a ripristinare, eliminando i ritocchi sedimentati nel corso dei secoli, la tavola così come doveva apparire al suo autore quando stese l’ultimo colpo di pennello. Nel lontano 1295.

A ricordo dell’attentato resta una scalfittura infinitesimale, appena percepibile sulla spalla di uno degli angeli ritratti dall’artista. Un segno che non appanna in nulla la meraviglia di un’opera che dopo il suo nuovo debutto in “trasferta” a Lucca – dove per la prima volta nella storia viene esposto un autografo giottesco –  è pronta, dal 2015, a tornare al proprio posto: tra i gioielli del Museo Diocesano di Firenze, di prossima riapertura.