Ha inaugurato la scorsa settimana il Dr Chau Chak Wing Building, edificio firmato da Frank Gehry all'interno del campus universitario della University of Technology di Sidney.
All’indomani del debutto ufficiale di Frank Gehry in Australia, critici e semplici spettatori del suo nuovo edificio non risparmiano metafore e paragoni per descrivere – a volte poco generosamente – il Dr Chau Chak Wing Building, la nuova sede della UTS-Business School.
Già definito un “sacchetto di carta accartocciato”, all’architettura commissionata dalla University of Technology di Sidney è stata di recente diagnosticata anche una qualche “malattia della pelle”. Così, almeno, ne scrivono online alcuni salaci osservatori della peculiare facciata dell’architettura, secondo i quali i peculiari mattoni sporgenti farebbero pensare a una sorta di herpes architettonico.
Scherzi a parte, non stupisce che un edificio di Frank Gehry venga accolto – anche, ma non soltanto – da commenti più o meno sferzanti. D’altronde, l’archistar è famoso per la sua de-costruzione delle tipologie architettoniche tradizionali: laddove il pubblico perde i suoi riferimenti, si scatena l’immaginazione. Come sottolineano gli addetti ai lavori, insomma, non si può parlare di Gehry senza chiamare in causa curve e accesi dibattiti.
Non fa eccezione il nuovo edificio scolastico in Australia, intitolato al benefattore sino-australiano Chau Chak Wing che più di ogni altro ha finanziato il progetto. Anche quest’architettura – come il Guggenheim di Bilbao, il Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, o la più recente Fondazione Louis Vuitton a Parigi – fa sfoggio di una facciata dall’andamento discontinuo, movimentata su grande scala dalla curvatura delle superfici in pietra e laterizio, contrapposte alla rigorosa geometria delle estese vetrate e delle finestre in aggetto.
La stessa sperimentazione con i materiali non è una novità, nella carriera dell’architetto canadese: il ricorso al mattone in questo caso è giustificato da un tentativo di recupero del linguaggio architettonico “vernacolare”, chiaramente reinterpretato “alla Gehry”.
Di nuovo c’è invece il metodo con cui l’edificio è stato progettato: partendo dagli interni. Concepita per accogliere 1630 studenti – futuri economisti e uomini d’affari – e lo staff della Business School, Gehry è partito dalla scelta di dare loro spazi flessibili, non solo esteticamente – perché sì, anche i muri interni sono curvi – ma già a livello funzionale.
Salvo poche parti “fisse” – come la scultorea scalinata – pare che l’edificio potrà essere modificato e implementato man mano che nasceranno nuove esigenze da parte dei suoi utilizzatori. Come una casa sull’albero, ha spiegato l’architetto, che cresce e si amplia sfruttando la nascita di nuovi rami. Del pensiero, in questo caso.