La mostra Boldini – Lo spettacolo della modernità, inaugurata a Forlì in questi giorni e aperta fino al 14 giugno, costituisce un'approfondita rivisitazione della carriera del pittore, in Italia e poi nella capitale francese.
Prima di Amedeo Modì Modigliani, di artisti italiani a Parigi ce ne sono stati diversi. Pochi però sono riusciti a raggiungere la giusta notorietà internazionale già in vita, soprattutto in quella Parigi di fine Ottocento che era monopolio sempre più esclusivo degli impressionisti. Di certo, Giovanni Boldini è riuscito a farsi amare dagli stessi colleghi d’oltralpe. A lui infatti, trascorsi pochi mesi dalla morte, Parigi volle dedicare un’esposizione postuma: era già un classico, riportano le cronache dell’epoca.
La Fondazione e i Musei San Domenico di Forlì gli tributano ora una monografica nella sua regione d’origine – essendo egli nato a Ferrara, nel 1842. La mostra Boldini – Lo spettacolo della modernità, inaugurata in questi giorni e aperta fino al 14 giugno, costituisce un’approfondita rivisitazione della carriera del pittore, in Italia e poi nella capitale francese: sono esposti non solo opere e periodi artistici già conosciuti al grande pubblico, ma anche i tanti e diversi momenti della sua produzione ancora da riscoprire, a cominciare dagli esordi a contatto con la scuola toscana.
La pittura di Giovanni Boldini è stata sempre caratterizzata da uno slancio sperimentale, con esiti che non hanno mancato di accendere il dibattito già tra i contemporanei, critici e semplici spettatori. I suoi primi interlocutori lo ameranno ma senza smettere mai di discutere il suo stile, e forse non poteva che essere altrimenti: difficile immaginare che Telemaco Signorini o Diego Martelli, rispettivamente il maggior esponente e il teorico dei Macchiaioli, potessero davvero far proprio l’impulsività gestuale dell’amico Boldini.
A comprenderlo meglio sarà Degas, con cui condivise – se non lo stile – la medesima ansia di modernità, e quel dinamismo che ne risulta, infuso nell’arte a colpi di pennellate sulle rispettive tele. Proprio nella grafica – intesa in senso stretto, come tecnica artistica – la mostra di Forlì riporta forse il più rilevante contributo scientifico alla rivalutazione dell’opera di Boldini, grazie alle recenti ricerche di Francesca Dini, co-curatrice dell’esposizione insieme a Fernando Mazzocca.