Separati nella vita, uniti nella musica: Francesco Meoni porta in scena le vicende familiari e le carriere personali di Tim e Jeff Buckley. I due musicisti e il mancato rapporto padre-figlio sono al centro dello spettacolo Once I Was, in scena al Teatro Spazio Uno di Roma fino al 1 marzo.
Un one man show, per raccontare invece di due figure artistiche. È lo spettacolo Once I Was, che va in scena da oggi e resterà in cartellone al Teatro Spazio Uno di Roma fino al 1 marzo. La trama segue in effetti la vita – anzi, le vite – di Tim e Jeff Buckley, cui Francesco Meoni dedica un sentito omaggio. Perché non può essere definito altrimenti, uno spettacolo concepito, scritto, diretto e interpretato da un solo autore.
Francesco Meoni parte appunto dalla storia dei due musicisti americani, vissuti tra gli anni ’60 e i ’90, per indagare il loro mancato rapporto familiare. Il padre e il figlio condivisero infatti pochissimo tempo insieme, per ritrovarsi idealmente uniti nella tragedia di una morte che li coglie entrambi prematuramente.
L’excursus poetico messo in scena alterna la storia delle vicissitudini personali di Tim e Jeff Buckley alle loro carriere, stabilendo così sul palco un parallelismo poco evidenziato nel corso delle loro vite. Alla partitura dello spettacolo – fatto tanto di storia quanto di musica – contribuisce un organico di validi musicisti, che supporta Francesco Meoni nel suo racconto. In scena compaiono quindi Vincenzo Marti (voce e chitarre), Toni Mancuso (tromba e flicorno), Danilo Valentini e Luca Figliuoli (chitarra); Nicola Ronconi e Alberto Caneva (basso), Rocco Teora e Salvatore Caruso (batteria).
Tra recitazione e performance, teatro e musica, lo spettacolo promette di caratterizzarsi per un linguaggio unico. Tra una hit e l’altra dei Buckley – da Once I Was di Tim alla reinterpretazione di Halleluyah di Jeff – trova spazio una confluenza ininterrotta di note, parole, sentimenti ed emozioni. Once I Was è uno spettacolo psicologicamente complesso, che cerca di spiegare le ragioni della solitudine e arginare un’incomprensione familiare e generazionale, contestualizzando nel contempo radici e sviluppo di un capitolo importante della storia del rock.