Il Museum of Modern Art ospita la grandiosa personale di una delle icone artistiche femminili di tutti i tempi. In mostra una ricca selezione dei suoi primi lavori, tra performance e installazioni.
Yoko Ono: One Woman Show, 1960-1971 ha debuttato al MoMA di New York e stupirà il pubblico fino al prossimo 7 settembre. Oltre 125 opere, realizzate dall’artista originaria di Tokyo agli esordi della sua carriera, combinano oggetti, lavori su carta, installazioni, performance, registrazioni audio e film in un’unica grande retrospettiva che sintetizza la poetica della Ono, nome di punta della corrente Fluxus.
Per la prima volta in assoluto, la prestigiosa istituzione newyorkese dedica a Yoko Ono una rassegna incentrata esclusivamente sulla sua produzione. La scelta di esporre le opere appartenenti al primo decennio di attività dell’artista non è casuale. Risale infatti al 1971 la provocatoria azione della Ono che annunciò una propria mostra, non autorizzata, esattamente al MoMA, intitolata Museum of Modern (F)Art.
Una volta giunti sul posto, i visitatori erano accolti da un solo cartello che li invitava a seguire il volo di una moltitudine di mosche liberate dall’artista all’interno del museo e in tutta la città.
Quarant’anni dopo, Ono fa il suo ingresso nel museo con un evento ufficiale e unico che propone una summa del lavoro compiuto prima del fatidico 1971 (come nella foto d’apertura, che ritrae Yoko Ono con una delle sue opere durante l’anteprima stampa della mostra). Tratte soprattutto dal Gilbert and Lila Silverman Fluxus Collection Gift, acquisito nel 2008 dal MoMA, le opere in mostra seguono criteri cronologici e tematici che testimoniano le basi creative della Ono, rendendola finalmente autonoma dall’associazione a John Lennon.
L’attenzione al coinvolgimento del pubblico e allo sviluppo di un pensiero critico percorre l’intera mostra grazie a opere passate alla storia come le Chambers Street Loft Series, ispirate all’appartamento dove la Ono viveva negli anni Sessanta e produceva arte insieme a numerosi amici e colleghi. O come il Touch Poem, un testo scritto nel 1963 che invitava i lettori a toccarsi tra loro, superando la barriera dell’isolamento individuale.