Nel 1704, nel laboratorio di un chimico a Berlino si scopriva per caso il primo pigmento blu sintetico. Sino ad allora, quella particolare tonalità si otteneva dalla frantumazione del lapislazzuli, comportando costi esorbitanti.
Fu scoperto, un po’ per caso e un po’ per errore, dal fabbricante di colori Johann Jacob Diesbach, nel laboratorio di un chimico a Berlino, nel 1704. Da allora, il blu di Prussia – il primo pigmento sintetico della storia – ha rivoluzionato la palette dei pittori, cambiato il corso dell’arte, aprendo nuove strade non soltanto cromatiche, ma anche compositive, sino ad arrivare all’Impressionismo, che probabilmente mai sarebbe esistito senza le innovazioni nella fabbricazione dei pigmenti avvenute nel secolo prima.
Fino ad allora il blu oltremare – la versione naturale più vicina alla tonalità “inventata” nei primi del Settecento – era il colore più prezioso e costoso che un pittore potesse adoperare, perché si otteneva dalla frantumazione del lapislazzuli, una pietra semipreziosa estratta nel Vicino Oriente; perciò era utilizzato solo nelle opere realizzate per i committenti più facoltosi.
Il blu di Prussia fu subito commercializzato, diventando indispensabile negli atelier di pittori come Jean Antoine Watteau e il Canaletto.
Il Norton Simon Museum in California gli ha dedicato una mostra, A Revolution of the Palette: The First Synthetic Blues and their Impact on French Artists, visitabile sino al prossimo 4 gennaio.
[Immagine in apertura: Louise Elisabeth Vigée Le Brun, Ritratto di Teresa, contessa Kinsky, dettaglio, 1973, olio su tela]