È un’impresa di grande valore umano e culturale, quella avviata dai rifugiati siriani in un campo della Giordania: riprodurre in miniatura le meraviglie architettoniche distrutte dalla furia fondamentalista.
La violenza della guerra ha sempre conseguenze davvero terribili, anche quando a essere colpito è il patrimonio culturale e artistico di un popolo o di un paese. È quanto sta accadendo in Medio Oriente, dove la cieca furia distruttrice dei fondamentalisti islamici ha raso al suolo veri e propri capisaldi della storia dell’umanità.
Per rispondere all’illogicità del terrore e scongiurare il rischio dell’oblio, circa un anno fa Ahmad Hariri, leader della comunità di rifugiati siriani raccolti nel campo di Za’atari in Giordania, ha riunito un gruppo di artisti scampati alla tragedia per “ricostruire” (nei limiti dei mezzi a disposizione) i monumenti e i siti archeologici polverizzati dalla brutalità del conflitto.
Usando materiali di recupero – legno, argilla e pietra – gli artisti hanno collaborato alla realizzazione di una serie di miniature raffiguranti alcune delle meraviglie andate distrutte o danneggiate, come l’antica città di Palmira e la Moschea Omayyadi di Damasco.
Il lavoro compiuto dagli artisti – e da molti studiosi impegnati nella concitata documentazione dei siti ancora esistenti – risulta prezioso non solo per il risultato, ma soprattutto per la volontà di preservare l’identità storica e culturale di un popolo dalla barbarie della guerra.