Si è tenuta lunedì 11 gennaio la settima edizione romana della posa delle “pietre d'inciampo”, particolari opere di arte urbana nate per tramandare la memoria storica e ricordare le vittime del nazismo.
Potrebbe esservi capitato, passeggiando in una strada di una città europea da Colonia a Roma, di percepire un qualche bagliore metallico ai vostri piedi. E no, in alcuni casi non avrete trovato una monetina caduta dalle tasche di un passante, ma una singolare pietra incastonata ad arte nel selciato… e ricoperta di ottone.
Se aveste letto l’iscrizione su questa singolare “targa stradale”, avreste scoperto che proprio in quella strada abitava un cittadino di etnia rom o sinti, di religione ebraica, di un orientamento politico o sessuale… non gradito al regime nazista. Che, per la sua “diversità” qualunque essa fosse, ha deciso quindi di deportare questa persona in un campo di concentramento e decretarne la morte.
11 di questi particolari sampietrini – o Stolpersteine, letteralmente “pietre d’inciampo” – sono state posate ieri a Roma, andando ad aggiungersi alle altre 226 iscrizioni già sparse per la città. Questa particolare iniziativa si è ripetuta oggi, lunedì 11 gennaio, dopo che già si era tenuta altre sei volte, a partire dal 2010.
A installare le pietre d’inciampo – in senso metaforico, perché è la memoria a soffermarcisi più che il piede – è l’artista tedesco Günter Demnig, che ha ideato questo progetto già nel 1993. In quell’anno, invitato a Colonia per un’opera sulla deportazione di cittadini rom e sinti, l’autore viene contestato da un’anziana signora: a suo dire, nella città non avrebbero mai abitato membri di questi gruppi etnici. Nasce così una vera e propria vocazione, da parte di Demnig, che decide di consacrare il suo lavoro alla ricerca e alla testimonianza delle vite dei tanti cittadini scomparsi, a causa delle persecuzioni naziste.
Dall’Austria alla Norvegia, dall’Olanda all’Italia: sono ormai decine di migliaia le pietre – e le memorie – in cui è possibile inciampare, camminando per le città. E incontrare così le vite di chi, in modo discreto e antimonumentale, non è stato dimenticato; anzi, è stato accolto per sempre in quell’ambiente da cui un tempo l’hanno allontanato con la forza.