Il fotografo statunitense è ospite d'eccezione della National Portrait Gallery nella capitale britannica: in mostra, cento scatti ripercorrono una carriera che dura da oltre cinquant'anni. Imperdibili alcuni ritratti inediti, come quello di Dennis Hopper.
Non gli veniva dedicata una mostra a Londra dal 2002 e, di certo, quella in corso alla National Portrait Gallery – aperta fino al prossimo 23 ottobre – è la retrospettiva più completa tra quelle mai realizzate, almeno per quanto riguarda la sua attività di ritrattista.
E William Eggleston merita una simile attenzione, perché i suoi ritratti – vividi e allo stesso tempo misteriosi, elusivi – sono divenuti metafora della società contemporanea tutta.
Che si tratti di gente comune, fotografata dal benzinaio e al supermercato, o del frontman dei Clash – Joe Strummer – il fotografo statunitense ha sempre saputo esaltare due elementi della realtà: il colore e la bellezza.
Prima ancora di abbandonare il bianco e nero – con cui ha lavorato agli esordi della carriera, tra il 1960 e il 1965 – Eggleston si è sempre concentrato sul soggetto umano, cogliendo le persone in tutta la loro genuinità, nel momento in cui si accingono a compiere un gesto comune che improvvisamente diventa rivelatorio, denso di significato.Una volta “convertitosi” alla policromia, proprio la sua mostra al MoMA di New York, nel 1976, sarà tra gli eventi cruciali per la consacrazione della fotografia a colori come forma d’arte, capace di astrarsi dalla realtà e darne un’interpretazione poetica al pari degli scatti in bianco e nero.
Come abbia fatto Eggleston a riscattare la fotografia a colori dal suo status di mera “documentazione”, lo spiega bene il direttore stesso della National Portrait Gallery, Nicholas Cullinan: l’autore, a suo dire, “ha una sconcertante abilità nel trovare un qualcosa di straordinario in quella che all’apparenza è pura vita quotidiana“.
E – aggiunge Phillip Prodger, curatore della sezione Fotografia del museo londinese – proprio l’elemento cromatico è quello che Eggleston fa emergere in tutta la sua vibrante bellezza dalla scena fotografata, che così “ci penetra sotto pelle, raggiungendo la nostra immaginazione“.