È associato a una campagna crowdfunding il progetto sperimentale di due architetti italiani relativo a una struttura collettiva, di facile montaggio, da impiegare all'interno dei campi profughi. L'obiettivo? Sconfiggere il "trauma migratorio".
Porta la firma degli architetti Bonaventura Visconti di Modrone e Leo Bettini Oberkalmsteiner Maidan tent, la struttura temporanea in grado di accogliere più di 100 persone contemporaneamente che punta a introdurre, nell’impianto seriale e alienante dei campi profughi, una dimensione aperta, sicura e ospitale. L’idea di questa”piazza coperta” ‒ non a caso il termine “maidan” in arabo indica proprio la “piazza” ‒ si è fatta largo nella mente dei due progettisti in seguito alla visita, nella primavera 2016, al campo di Ritsona, in Grecia. Con loro c’era anche il fotografo Delfino Sisto Legnani, autore di un reportage che documenta la vita delle persone in questo luogo.
Una delle condizioni ricorrenti nei profughi è l’insorgere del cosiddetto “trauma migratorio” che “comporta lo sradicamento e il distacco dai luoghi di nascita, l’impossibilità di crescere all’interno di una vita comunitaria organizzata e stabile, l’esposizione a eventi di rischio e di pericolo durante il viaggio, oltre a una grave condizione di disadattamento nei luoghi di transito e in quelli di permanenza temporanea“. Ad affermarlo è lo psichiatra-psicoterapeuta Giuliano Limonta, direttore del Dipartimento di salute mentale Asl di Piacenza, uno dei consulenti che hanno scelto di supportare in forma volontaria il progetto Maidan tent, per il quale il duo di architetti ha ottenuto il supporto di alcune organizzazioni internazionali senza fini di lucro e avviato una campagna di raccolta fondi.
Il raggiungimento della quota prevista ‒ il crowdfunding è attivo sul portale generosity.com ‒ permetterebbe di dotare il campo di Ritsona di una “tenda” di circa 200 metri quadrati, durevole e trasportabile come le versioni tradizionali, ma distinta da esse per la peculiare configurazione. Realizzabile con un tessuto resistente all’acqua, al vento e al fuoco e con un telaio in alluminio, la struttura circolare disporrebbe di otto settori autonomi, articolati attorno a un nucleo centrale. Una soluzione che consente di svolgere più attività nello stesso tempo ‒ ricevere cure mediche e psicologiche, pregare, organizzare attività per i bambini, acquistare e vendere beni, imparare, insegnare e altro ancora ‒ e priva di gerarchie d’accesso o percorsi preferenziali.
“Il nostro obiettivo” – hanno precisato gli architetti – “è creare uno spazio pubblico, non una grande casa, con una forma appropriata che risponda a esigenze di tipo psicologico, oltre che formali. (…) Lontani dai propri luoghi di appartenenza, i profughi sono spaesati e disorientati. Davanti a questo scenario avvertiamo l’obbligo morale di aiutarli nel concepire uno spazio che possa lenire almeno in parte la loro sensazione di sradicamento. (…) Come architetti non riusciamo a trasformare la politica in etica messa in pratica, ma possiamo provare a contribuire per migliorare le condizioni di vita nei campi”.
[Immagine in apertura: Maidan tent, render by Filippo Bolognese]