Fotografo, creatore di "oggetti d'affezione", pittore; dadaista e poi surrealista, in due parole: Man Ray. Uno degli autori più famosi della prima metà del Novecento, capace di destreggiarsi con tecniche e poetiche ogni volta differenti, sempre trovando una propria cifra espressiva originale, è al centro di una mostra nel Castello di Conversano. Visitabile fino al 18 novembre.
La mostra in corso al Castello di Conversano – fortificazione di origine normanna in provincia di Bari – lo definisce “uomo infinito”; sicuramente, era un artista che non si poneva limitazioni, spaziando tra le discipline e i maggiori movimenti avanguardisti della prima metà del Novecento.
Parliamo di Man Ray, naturalmente, da una cui opera l’Associazione Artes – col sostegno del Comune di Conversano – prende appunto il titolo dell’esposizione, organizzata in occasione del festival letterario Il Libro Possibile – Arte: il riferimento è a L’Homme Infini, del 1970, in un periodo della tarda produzione di Man Ray contrassegnata dal suo ritorno alla pittura.
La mostra – curata da Vincenzo De Bellis, che porta in Puglia un centinaio di opere firmate da Man Ray – parte in effetti da ben altri linguaggi artistici.
La carriera di Emmanuel Rudzitsky – il vero nome dell’autore al centro della rassegna – ha inizio infatti con l’incontro di Marcel Duchamp, ovvero con lo sviluppo di una forma derivata di readymade, gli Oggetti d’affezione. Con l’amico Duchamp il nostro “Uomo Raggio” – pseudonimo con cui Man Ray firmava già i suoi precedenti lavori di grafica – cercherà di fondare il ramo americano del movimento Dada, per poi seguirlo a Parigi in cerca di un milieu culturale più favorevole agli scarti semantici e agli accostamenti improbabili su cui si fondava la poetica della famosa avanguardia.
Proprio nella capitale francese, Man Ray inizierà a ritrarre i maggiori intellettuali dell’epoca – da James Joyce a Jean Cocteau – e sperimentare con quello che forse sarà il suo medium artistico d’elezione, la fotografia. In questo campo, infatti, l’autore condurrà sperimentazioni incessanti, ampliando il potenziale espressivo del mezzo ben oltre la sua capacità di “rappresentare” la realtà così come percepita dagli occhi.
Tra Rayogrammi, solarizzazioni e viraggi, manipolazioni in fase di sviluppo e stampa per cui la sensuale schiena femminile diviene la sagoma di un violoncello (Le violon d’Ingres), Man Ray sarà capace di dimostrare che la fotografia non riproduce ma “produce” concetti nuovi, associazioni d’idee e opere formalmente autonome.
Indipendenti, come il profilo di un autore che nel corso della sua attività ha saputo trovare una propria declinazione di ogni tecnica e, ancora più, di quelle poetiche che vanno sotto il nome di “avanguardie storiche”.