Un archeologo navale italiano rilegge l'episodio omerico, fornendone una nuova interpretazione che mette in dubbio la natura stessa della "macchina da guerra" impiegata nella disfatta di Troia.
Ha affascinato la letteratura e le arti visive per secoli, senza mai ridurre l’interesse degli specialisti del settore: stiamo parlando dell’episodio di cui è protagonista l’Hippos di Troia, il cosiddetto “Cavallo di Troia”, citato da Omero nell’Iliade e riconosciuto come l’espediente impiegato dagli Achei nella conquista della città nemica.
A riaccendere i riflettori su questa battaglia è stato l’archeologo navale e dottore di ricerca all’Università di Marsiglia Francesco Tiboni che, in un articolo pubblicato sulla testata Archeologia Viva, nell’estate 2016, ha fornito un’interpretazione del celebre episodio omerico di grande interesse.
Per Tiboni, infatti, la Guerra di Troia fu vinta grazie a una nave fenicia denominata Hippos; il “successo” della versione legata al cavallo, giunta fino a noi anche attraverso gli autori latini, sarebbe in realtà frutto di un’errata traduzione del termine Hippos con “equus”, cavallo appunto. La nave in questione era dotata di una polena con testa equina, dotazione che ne giustifica la denominazione.
Come ha affermato lo studioso, in una recente intervista rilasciata sulla stampa italiana, “se esaminiamo i testi omerici reintroducendo il significato originale di nave – certamente noto ai contemporanei – non solo non si modifica in alcun modo il significato della vicenda, ma l’inganno tende ad acquisire una dimensione meno surreale. È di certo più verosimile che un’imbarcazione di grandi dimensioni possa celare al proprio interno dei soldati, e che loro possano uscire calandosi rapidamente da portelli chiaramente visibili sullo scafo e per nulla sospetti agli occhi di chi osserva“.
[Immagine in apertura: Gian Domenico Tiepolo, Cavallo di Troia viene introdotto nella città, dettaglio, 1760/1773, National Gallery, Londra]