A febbraio di quest'anno, una galleria svizzera ha ospitato un'installazione firmata da SUPERFLEX, il collettivo di artisti danesi, tutta giocata sul confine tra estetica e funzione, azione e contemplazione: una sala chirurgica funzionante che, se nello spazio espositivo poteva avere solo un valore simbolico, una volta trasportata in un ospedale siriano farà la differenza tra la vita e la morte.
Collaborando a stretto contatto con l’Aga Khan Development Network in Siria e l’ospedale di Salamieh, nella parte occidentale del martoriato Paese, il collettivo danese SUPERFLEX ha ideato quest’anno un’installazione artistica davvero particolare. Particolare perché concepita per essere usata, letteralmente, al di fuori di qualsiasi circuito museale e collezione.
Presentata alla galleria von Bartha a Scanfs, in Svizzera, lo scorso febbraio, l’opera Hospital Equipment consisteva in effetti di attrezzi medico-chirurgici reali, che finalmente hanno trovato la loro più consona collocazione.
La lampada, il tavolo operatorio e il relativo materasso, esposti a costituire una sala per gli interventi “trapiantata” nello spazio espositivo, sono ora giunti all’ospedale siriano che aveva espresso la necessità di equipaggiarsi meglio per far fronte alla crisi in corso nel territorio circostante. Come ha spiegato Maher Aboumayaleh, manager dell’AKDN Health Programme in Siria, quella che un tempo è stata un’installazione artistica è diventata “l’attrezzatura più avanzata di cui dispone l’ospedale“, migliorando notevolmente la capacità dell’istituzione di eseguire procedure mediche avanzate.
Il “passaggio di status” di Hospital Equipment, da creazione artistica a insieme di oggetti d’uso, è servito a SUPERFLEX per lanciare una critica al mondo occidentale e al sistema dell’arte contemporanea.
Da una parte, infatti, la presenza della sala operatoria nella galleria svizzera rendeva lo spettatore un voyeur impotente, che davanti alle grandi crisi umanitarie nel mondo non fa altro che stare a guardare. Dall’altra, il gruppo di artisti danesi ha proposto una soluzione di fatto a questa impasse: al collezionista che ha acquistato l’opera sono stati consegnati una fotografia dell’installazione e un certificato di autenticità. E la possibilità non di possedere un nuovo oggetto, ma di realizzare un miglioramento concreto in una comunità siriana permettendo alla “sua” opera di essere inviata e utilizzata là dove la sua presenza si rende effettivamente indispensabile.