Dal Rinascimento ai giorni nostri, sette opere liriche e la storia delle loro première ripercorrono non solo l'evoluzione di una forma d'arte, ma le passioni, la vita politica e le persone di potere che per quattro secoli hanno incessantemente gravitato attorno al mondo dell'opera. Non a caso definita "la colonna sonora della storia d'Europa".
Al giorno d’oggi, risulta davvero difficile comprendere la portata sociale dell’opera in musica – comunemente chiamata opera lirica, o proprio “opera” – nei secoli passati. Ed è un peccato, soprattutto per noi abitanti del Belpaese: genere teatrale e musicale che ha origine nel Rinascimento delle corti italiane, proprio in Italia ha raggiunto la sua massima espressione, complice una straordinaria compagine di compositori.
Fino al prossimo 28 febbraio, ci pensa il Victoria and Albert Museum di Londra a colmare qualsiasi lacuna in fatto di musicologia, con una mostra – realizzata in collaborazione con la prestigiosa Royal Opera House – che ricostruisce vividamente 400 anni di opera, passioni e persino intrecci politici e di potere.
Attraverso un allestimento immersivo, l’iniziativa permette di comprendere appieno la più straordinaria delle qualità dell’opera in musica: la sua multisensorialità, nata dalla combinazione armoniosa di diversi linguaggi artistici, che si rifanno ad altrettanti sensi.
Dalla musica al teatro, fino al design dei costumi e alla caratterizzazione dello spazio attraverso la scenografia, non c’è arte né artista che nel corso della storia non si sia cimentato proprio con la lirica.
Tra gli oltre 300 manufatti in mostra, basti pensare che figurano anche i progetti di Salvador Dalí per i costumi della produzione di Salome firmata da Peter Brook, nel 1949; o, ancora prima, Edouard Manet mostrò grande interesse per questa forma d’arte dipingendo per esempio Musica alle Tuileries, che ben rappresenta il periodo – seconda metà dell’Ottocento – in cui l’approccio moderno di Wagner andava conquistando l’intera Parigi.
Per riassumere efficacemente una tradizione così vitale, il percorso espositivo di Opera: Passion, Power and Politics si focalizza su sole 7 opere in musica, di valore emblematico, e in particolare sulle rispettive première, tenutesi in altrettante città.
Come ha spiegato Kasper Holter, Direttore dell’Opera alla Royal Opera House, la mostra interpreta l’opera come “colonna sonora della storia d’Europa“. E in effetti i componimenti e la loro messa in scena toccano ogni angolo del Vecchio Continente.
Tutto ha inizio con la prima de L’incoronazione di Poppea di Monteverdi a Venezia, durante il carnevale del 1642-1643. È il momento in cui l’opera esce dalle corti rinascimentali, per farsi conoscere al pubblico e all’intera società dell’epoca.
È poi la volta del Rinaldo di Handel, in scena a Londra nel 1711, una delle prime creazioni in lingua italiana “esportate” nella nascente capitale dei commerci globali.
Sul finire del XVIII secolo, e per la precisione nel 1786, a Vienna l’interpretazione de Le nozze di Figaro permette di interrogarsi sul ruolo del compositore, con l’emergere di uno dei nomi più famosi nella storia della musica, Mozart.
Si torna quindi nuovamente in Italia per “assistere” alla prima del Nabucco di Verdi, a Milano, nel 1842. E qui si ha modo di comprendere appieno l’importanza sociale – e politica – di quest’arte: il Va pensiero, ovvero il Coro degli schiavi ebrei, diventerà l’inno nazionale informale dell’unificazione italiana durante i moti del Risorgimento.
Poteva forse mancare Parigi? Lo spettatore ci giunge nel 1861, per l’esibizione del Tannhäuser di Wagner, che dividerà pubblico e critica per poi rivelarsi un’opera di grande ispirazione per gli artisti che seguiranno.
E il viaggio nel tempo – e nell’arte – approda finalmente al Novecento con la Salome di Strauss a Dresda – 1905 – e Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, composta da Šostakovič e portata in scena nel 1934 a San Pietroburgo, per poi essere censurata nel 1936 per la portata politica e avanguardistica dell’unica opera mai creata dal Maestro della musica classica del Novecento.
Con buona pace di quanti sostengono – ancora! – che l’opera sia un’arte troppo distante dal mondo quotidiano, quando invece la sua appassionata trasfigurazione della realtà ne ha fatto per secoli una delle più puntuali espressioni della propria epoca.