A partire dal 17 gennaio la Maison Européenne de la Photographie indaga la multiforme produzione del fotografo italiano, attivo da ben sessant'anni.
Si può restare sorpresi di fronte alla vastità e alla complessità dell’opera fotografica di Nino Migliori, l’artista classe 1926, originario di Bologna e ancora in (fervente) attività. Con la retrospettiva Nino Migliori. La questione dei sogni, la Maison Européenne de la Photographie punta a dimostrare come l’eterogeneità del suo lavoro sia sempre stata affiancata dalla persistenza di quesiti ricorrenti. Nell’intera carriera dell’autore, estesa oltre 60 anni, incessantemente Migliori si chiede che cosa sia la fotografia, “come viene fatta questa lingua?”
Aperta fino al 25 febbraio nella capitale francese, l’esposizione affida il proprio incipit a una sorta di “omaggio” alla città natale del fotografo, restituito con una selezione di stampe in bianco e nero risalenti agli anni Cinquanta. Sono “immagini umanistiche” – dai bambini che giocano in strada ai loro coetanei in piscina, fino a scene di vita quotidiana – che testimoniano con immediatezza l’interesse verso il realismo.
Portato avanti per tutta la vita, questo approccio accomuna i lavori di Migliori, animato dalla “necessità di dare una realtà tangibile e visibile alla vita di tutti i giorni”.
Nella sua opera, inoltre, altrettanto ardente è il desiderio di sperimentare, sondando in profondità tutte le potenzialità e le tecniche della fotografia che, anno dopo anno, si fanno strada. Del resto è lo stesso artista ad affermare che “fare fotografia significa scegliere e trasformare”, come in un processo alchemico.
La monografica parigina non rinuncia quindi a documentare gli esiti raggiunti attraverso vari processi innovativi e inventivi testati. Nel percorso espositivo sono infatti incluse immagini astratte, progetti resi possibili con gocce d’acqua depositate tra due lastre di vetro che evocano le tele “all over” di Jackson Pollock, i cosiddetti “pinholeograms”, immagini in movimento prese con una camera oscura; o ancora i “cellogrammi”, nei quali vengono catturati effetti effimeri di luce.
Spazio anche al lavoro condotto con la Polaroid, messo in evidenza in mostra attraverso la poetica serie di scatti scattati a casa del pittore Giorgio Morandi e rivisitati a mano.
[Immagine in apertura: Nino Migliori, Il Tuffatore, 1951]