Cantore del mondo della gente semplice, visionario regista capace di raccontare fiabe e parabole senza mai perdere in realismo del messaggio, documentarista partecipe ed empatico: Ermanno Olmi ci ha lasciati oggi all'età di 86 anni, consegnando in eredità al cinema italiano una filmografia di titoli indimenticabili, da "L'albero degli zoccoli" a "Il mestiere delle armi" e "Centochiodi".
Ricoverato da venerdì all’ospedale di Asiago, in provincia di Vicenza, Ermanno Olmi si è spento quest’oggi – lunedì 7 maggio – all’età di 86 anni. Lascia in questo mondo la moglie Loredana Detto, i figli, una vita sempre piuttosto riservata – tanto, che i suoi funerali si terranno in forma privata – e una serie di capolavori del cinema italiano capaci spesso di trascendere generi e definizioni.
Nato a Bergamo nel 1931, la carriera di Olmi dietro una cinepresa – una 16mm, per la precisione – ha inizio come documentarista, quando riceve l’incarico dalla Edisonvolta – dove era impiegato come fattorino – di documentare le attività dell’azienda.
Alle soglie degli anni Sessanta risale il debutto nel lungometraggio con Il tempo si è fermato, racconto di un’amicizia all’ombra di una diga in alta montagna, di cui sono custodi un anziano guardiano e un giovane. Inizialmente, la poetica di Olmi si concentra appunto – con tono anche sferzante, lontano dall’agiografia – sulle esistenze di personaggi semplici, la cui quotidianità è fatta di gesta tutt’altro che eroiche eppure meritevoli di essere raccontate.
Il successo internazionale giungerà con L’albero degli zoccoli, del 1978, una fiaba ambientata nel mondo contadino che gli fa guadagnare la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Con questo lungometraggio, si fa strada nel cinema di Olmi un particolare tono poetico che però non rinuncia a una narrazione realistica della vita della gente comune, cui il regista si sentirà sempre vicino sia per essere nato in un ambiente rurale sia per un’intima partecipazione.
Non a caso, negli anni Ottanta Olmi deciderà di trasferirsi ad Asiago, dov’è scomparso oggi, e fondare nel 1982 a Bassano del Grappa la scuola Ipotesi Cinema.
Tra i tanti successi, anche un dramma personale si abbatterà sulla vita di Olmi, colpito dalla sindrome di Guillain-Barré: una malattia invalidante, che lo terrà lontano dai riflettori per alcuni anni. Tornerà nella seconda metà degli anni Ottanta, in particolare con un altro lungometraggio di grandissimo successo anche critico, La leggenda del Santo bevitore tratto dall’omonimo romanzo di Joseph Roth, per il quale vince il Leone d’Oro a Venezia. Un altro film ispirato a un libro verrà firmato da Olmi 5 anni dopo, nel 1993: si tratta del Segreto del bosco vecchio, derivato dal titolo letterario di Dino Buzzati, che vede Paolo Villaggio come protagonista.
Gli anni Duemila portano il regista a rafforzare una poetica assolutamente originale, che riesce a dare un’impronta unica – sempre in bilico tra fiaba, narrazione epica e la capacità di raccontare una verità condivisa da tutti gli uomini – a film anche molto diversi per soggetto e impianto. Si spazia da Il mestiere delle armi, affresco storico che racconta la vita nel Cinquecento del soldato di ventura Giovanni dalle Bande Nere, vincitore di 9 David di Donatello nel 2002; alla successiva fiaba orientale Cantando dietro i paraventi, fino alla parabola Centochiodi del 2007, ultimo film di finzione girato da Olmi prima di tornare alle sue origini, ovvero il documentario.
L’anno successivo, la Mostra del Cinema di Venezia gli tributa un doveroso omaggio, consegnandogli il Leone d’Oro alla carriera, mentre nel 2013 l’Università di Padova ben sintetizza l’eredità culturale della filmografia di Olmi, consegnandogli una laurea honoris causa in Scienze Umane e Pedagogiche per “la sua azione di valorizzazione delle radici culturali, della memoria, delle tradizioni, della grande storia e dell’esperienza quotidiana e delle piccole cose“.