A partire dal clamoroso caso di un furto passato alla storia, una startup statunitense ha messo a punto una app che consente di rivedere opere sottratte dalle collezioni museali, semplicemente inquadrando le cornici rimaste vuote.
Dal binomio tra realtà aumentata e collezione d’arte nei musei continuano a nascere innovativi risultati. In parallelo con la crescita delle applicazioni che rendono possibili ai visitatori esperienze museali intense e immersive, superando la dimensione di attraversamento fisico dello spazio e le modalità di visione tradizionali, si stanno infatti facendo largo anche soluzioni capaci di sanare problemi non di poco conto.
Appartiene a questa seconda categoria Hacking the Heist, una app ideata dalla startup statunitense Cuseum che permette di ricollocare nei musei le opere d’arte trafugate e mai più ritrovate.
Di base a Boston, questa società ha messo a punto il progetto a partire da un noto caso di furto avvenuto nel marzo 1990. All’epoca, infatti, l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston venne privato di ben 13 capolavori – tra cui opere di Rembrandt, Degas, Manet e Vermeer – dei quali, ancora oggi, si sono perse le tracce.
Attraverso Hacking the Heist, scaricata sul proprio smartphone, i visitatori possono ora inquadrare le cornici rimaste vuote per veder riapparire i quadri indebitamente sottratti. “Quando abbiamo iniziato a lavorare in modo più approfondito con la realtà aumentata, uno dei miei colleghi ha detto che sarebbe stato interessante riportare i dipinti rubati nelle cornici dell’Isabella Stewart Gardner Museum”, ha dichiarato il fondatore e CEO di Cuseum, Brendan Ciecko. “Vedere attraverso il tuo schermo cose che non ci sono, e non è un videogioco: è cultura, è arte, qualcosa che ha un significato più profondo”, ha precisato ancora.