È un'opera tanto delicata quanto efficace, quella presentata da Jean-Luc Vilmouth al Centre Pompidou di Metz, che riesce a collegare mente e cuore, memoria storica e vissuto personale degli spettatori, in relazione a uno degli eventi più drammatici - e per questo "inimmaginabili" - del Novecento: i bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.
Come è possibile “permettere all’emozione di fluire, connettendoci a ciò che ci circonda“, se quello di cui dovremmo fare esperienza, ciò con cui dovremmo entrare in contatto empatico, è una delle più grandi tragedie mai vissute dall’umanità? È forse davvero immaginabile, anche solo concepibile quanto hanno provato, per pochi attimi o per il resto della propria esistenza, le vittime della bomba atomica sganciata su Hiroshima, quel terribile 6 agosto del 1945?
Forse, dove non la razionalità non può – e non vuole – arrivare, giunge in soccorso l’arte. Con un’installazione tanto semplice quanto toccante, al Centre Pompidou-Metz l’artista Jean-Luc Vilmouth prova appunto a “ricollegarci”, a livello profondo, al flusso della Storia anche a fronte di una così crudele, devastante “interruzione”.
Con l’intervento Café Little Boy, infatti, l’autore non richiama direttamente il momento in cui “Little Boy” – il nome in codice dell’arma – scese dal cielo, a fare terra bruciata di un’intera città. Né richiama le centinaia di migliaia di vittime che con quel gesto persero la vita.
Costituita da una parete-lavagna, l’installazione catapulta lo spettatore nei giorni a seguire, ma soprattutto gli permette di vivere – attraverso i gesti, la più basilare memoria muscolare – ciò che provarono i sopravvissuti.
A Hiroshima, infatti, una parete di una scuola era rimasta miracolosamente eretta, unico relitto di tutto l’edificio scolastico: su quel muro gli scampati alla strage andavano scrivendo dei messaggi, appelli in cui cercavano di ritrovare o avere notizia dei cari ancora irrintracciabili.
In quel di Metz, in questo “café” dove l’orologio si è fermato alle 8:15 del 6 agosto 1945, gli spettatori possono prendere in mano i gessetti e continuare a scrivere, riprendere le fila della Storia nonostante questa sia stata così violentemente spezzata. E così, infine, entrare corpo e mente a far parte di una comunità – quella umana – che, nonostante sia capace dei più efferati crimini, cerca sempre di ritrovarsi.
[Immagini: Jean-Luc Vilmouth, Café Little Boy, veduta dell’installazione al Centre Pompidou-Metz. Photo by Cristiana Margiacchi per Artribune]