Alcuni capolavori del celebre artista novecentesco stanno dividendo l'opinione pubblica da una parte all’altra dell’oceano. Il motivo del contendere? La veridicità o meno dal loro sequestro da parte dei nazisti.
Sta facendo il giro del mondo la notizia del polverone sollevato da 63 opere: attribuite a Egon Schiele, recentemente sono state depennate dalla German Lost Art Foundation dalla lista dei lavori artistici saccheggiati dai nazisti, durante la Seconda Guerra Mondiale. Scelta che contraddice la decisione emessa dalla Corte Suprema di New York lo scorso giugno.
Le opere in questione appartenevano al cabarettista viennese Fritz Grünbaum, i cui eredi continuano a sostenere che furono sottratte a lui e alla moglie dai nazisti prima della loro deportazione in un campo di concentramento. Secondo altri, invece, gli eredi avrebbero venduto le opere negli anni Cinquanta. Se questa ipotesi fosse vera, i capolavori di Schiele non sarebbero stati allora depredati.
Il mistero si infittisce se si pensa alla transazione avvenuta nel 1956, quando il mercante svizzero Eberhard Kornfeld mise in vendita le opere di Schiele senza dichiarare la loro provenienza. Anni dopo emerse che il mittente era Mathilde Lukacs-Herzl, la cognata di Fritz Grünbaum, che potrebbe aver ricevuto i lavori prima dell’uccisione della coppia da parte dei nazisti. In questo caso, sottolinea la German Lost Art Foundation, le opere sarebbero state vendute legalmente. Gli eredi, tuttavia, sostenuti anche dalla decisione della Corte americana, dichiarano la transazione di Kornfeld fraudolenta e la vendita di due acquerelli appartenenti al corpus di opere al centro del dibattito, prevista durante l’asta autunnale di Christie’s, resta ancora incerta.
[Immagine in apertura: autoritratto fotografico di Egon Schiele, fonte Wikipedia]