Il complesso percorso creativo dell’artista americano è al centro della mostra allestita presso la Biblioteca Sormani. Grazie all’intervento di uno dei suoi collezionisti, e amici, più stretti.
Ha da poco aperto i battenti la mostra William G. Congdon. Il gesto dell’Io. Inediti (salvati) della Collezione Rapetti, allestita fino al 23 ottobre negli spazi della Biblioteca Sormani a Milano, a vent’anni dalla scomparsa dell’artista americano. Protagonista assoluta della rassegna una selezione inedita di opere pittoriche della collezione di Carlo Rapetti, profondamente legato al pittore durante la sua permanenza in Lombardia.
Dagli anni Ottanta sino alla morte, infatti, William G. Congdon lavorò a Gudo Gambaredo, trasferendo il suo studio nel monastero benedettino della Cascinazza, al quale l’amico e assistente Carlo Rapetti poteva accedere in maniera esclusiva. Si deve al suo intervento la “salvezza” di numerose opere oggi in mostra, scampate alla volontà distruttiva dell’artista.
La rassegna meneghina offre una lettura “laica” della produzione di Congdon, specie di quella a stampo religioso. I crocefissi sono, secondo il curatore Mario Cancelli, una ““rappresentanza” dell’io in quanto scoperta del corpo/psiche. Grazie a loro un vuoto è stato colmato. È indubitabile che ciò sia avvenuto nell’esperienza della conversione religiosa, come è indubitabile il fatto che dopo Assisi l’iconografia sacra divenga medium del soggetto Congdon”. Conversione che rivive nell’inedita biografia autografa esposta in mostra, un focus sull’esistenza di un artista capace di affrancarsi dall’Espressionismo astratto alla ricerca di uno stile proprio.
[Immagine in apertura: William G. Congdon. FICO 3. 10 ottobre 1993. Olio su pannello. 50 x 60 cm. Collezione Carlo Rapetti]