Giunge da oltre Atlantico la notizia che nessun lettore di comics americani avrebbe mai voluto leggere: all'età di 95 anni, è morto Stan Lee.
“Pensavo che quello che ho fatto non fosse poi così importante“, ha dichiarato Stan Lee in un’intervista di pochi anni fa al Chicago Tribune. “Ci sono persone che costruiscono ponti e conducono ricerche mediche, mentre io raccontavo storie di personaggi inventati che compiono gesta folli e straordinarie, indossando dei costumi. Ma suppongo di aver capito che l’intrattenimento non si può ignorare facilmente.”
Non sappiamo se, nel momento in cui muore un grande ricercatore scientifico o un ingegnere, la sua scomparsa venga pianta da una parte all’altra del mondo, come sarebbe anche giusto che fosse.
Ma sì, quello che sappiamo è che in questo momento una nutrita, appassionata comunità sta piangendo la morte di Stan Lee che – stando a una notizia dell’Hollywood Reporter di pochi minuti fa – si è spento oggi, lunedì 12 novembre, presso il Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles.
All’età di 95 anni, scompare forse l’uomo che più ha fatto per il mondo del fumetto superoistico di matrice statunitense. Avete presente Spider-Man, gli X-Men, Thor e gli Avengers, Daredevil, i Fantastici Quattro, Hulk?
Stan Lee è stato il loro padre. Sono tutti personaggi creati da lui, e nati dalla sua fervida immaginazione e dalla collaborazione con artisti dell’inchiostro altrettanto leggendari, come Jack Kirby e Steve Ditko (anch’egli scomparso nel 2018, a luglio).
A contare qui non è soltanto la “quantità” ma soprattutto la qualità, o meglio il coraggio di dar vita a un universo intero in cui i supereroi hanno superpoteri, ma non per questo hanno soltanto “qualità”, appunto: se fino agli anni Sessanta i protagonisti dei fumetti erano tutti d’un pezzo, i personaggi di Stan Lee hanno complessità e difetti umani.
Oltre ad aver così catapultato la Marvel (alle origini, Timely Comics) in vetta alle classifiche editoriali, da “cenerentola” qual era, Stan Lee è riuscito nel decennio successivo a mettere in una luce migliore lo stesso fumetto come medium e “nona arte”.
Mentre per buona parte degli anni Cinquanta e Sessanta, con il libro Seduction of the Innocent dello psicologo Frederic Wertham e quindi con la censura che gli editori si imposero attraverso la Comics Code Authority, i comics erano visti più come un intrattenimento “degenerato” che come una forma espressiva così densa di potenzialità com’è, è a Stan Lee che dobbiamo la prima, coraggiosa messa in discussione di questa stasi: nel 1971, inserendo in The Amazing Spider-Man la figura di Harry Osborn – amico di Peter Parker e figlio di Goblin – che abusa di droghe, l’albo perde il “bollino” di approvazione da parte dell’organismo censorio ma guadagna in realismo, messaggi di rilevanza sociale e, quindi, vendite. Grazie a questo primo “affronto”, il fumetto conquisterà progressivamente la libertà di occuparsi di tematiche attuali, senza per questo essere osteggiato.
Stanley Martin Lieber, figlio di un immigrato rumeno che vive in povertà a Manhattan per poi diventare sceneggiatore, redattore capo, attore – celebre la sua volontà di comparire in un cameo in ciascuna delle produzioni televisive e cinematografiche Marvel – e, ancora, editore e produttore: Stan Lee è stato tutto questo, ma rimarrà per tutti uno dei più grandi storyteller che la cultura popolare contemporanea abbia mai avuto.