Provenienti dal Kyoto Costume Institute, le opere in mostra a San Francisco pongono l'accento sulla capacità del tradizionale abito giapponese di affascinare, stimolare e ispirare i designer di tutto il mondo.
Ci sono anche creazioni di Paul Poiret, Coco Chanel, Issey Miyake e Tom Ford nel percorso espositivo di Kimono Refashioned, la mostra con cui l’Asian Art Museum di San Francisco esplora l’impatto del più iconico abito giapponese sulla moda globale.
A sottolineare il carattere di indagine del progetto e definirne il perimetro, è stato il direttore e CEO dell’istituzione statunitense, Jay Xu. Prendendo le distanza dall’idea di “un’esposizione di abiti tradizionali“, la mostra intende porre enfasi sulla “fluidità culturale del kimono nella moda moderna, dimostrando come un semplice capo di abbigliamento possa contribuire a significativi scambi di idee“.
Aperta fino al 5 maggio, la mostra si snoda secondo quattro sezioni tematiche – Kimono in Paintings; Japonism in Fashion; Kimono in Contemporary Fashion; Japan Pop – proponendo opere conservate presso il Kyoto Costume Institute.
A partire dalla fine del XIX, la struttura relativamente semplice ed essenziale di questo capo e la sua capacità di attirare l’attenzione sul tessuto e sulla sua stampa, anziché sulle forme del corpo, hanno ispirato numerosi fashion designer internazionali, conquistati dalla sua distintiva forma e dai suoi tessuti sofisticati.
Esattamente come avvenuto in altri campi creativi, l’uscita del Giappone dalla sua lunga fase di isolamento aprì infatti la strada a nuove relazioni diplomatiche e commerciali. Grandi quantità di tessuti e kimono, così come stampe, lacche, manufatti in metallo e ceramiche, suscitarono l’entusiasmo dei collezionisti internazionali, aprendo la strada al cosiddetto Japonism, che ebbe un esplicito riflesso nel campo della moda e degli accessori. Riunendo insieme circa 40 esemplari, realizzati da una trentina di designer e artisti, Kimono Refashioned disegna la mappa delle connessioni tra kimono e “moda occidentale”, ripercorrendone alcune fasi decisive che dall’era vittoriana arrivano fino a quella digitale.
Tra le creazioni selezionate dal team curatoriale rientrano gli abiti con cui Rei Kawakubo di Comme des Garçons e Yohji Yamamoto risposero allo sfarzo degli anni Settanta, avanzando il concetto di “imperfezione”, restituito attraverso linee asciutte e austere. L’interesse verso il Giappone non sembra conoscere cali di interesse persino in anni più recenti, come testimoniano gli abiti-scultura di Iris Van Herpen, presentati nella sfilata Shibori tie-dye del 2016, e gli stivali di Christian Louboutin ricamati con gru e fiori di prugno, in produzione dall’anno successivo.
Un discorso a parte, infine, meritano manga e anime giapponesi che stimolano la curiosità dei fashion designer di tutto il mondo; tra loro Jonathan Anderson, direttore creativo di Loewe.
[Immagine in apertura: Rei Kawakubo per Comme des Garçons Noir, Evening dress, Autumn/Winter 1991, dettaglio della gonna. Collection of The Kyoto Costume Institute. © The Kyoto Costume Institute, photo by Takashi Hatakeyama]