Nato in Germania e scomparso a Hong Kong, città a cui sono legati diversi suoi progetti che gli hanno portato fama internazionale, all'età di 64 anni è morto Michael Wolf, fotografo che ha colto creatività e variazione nell'infinita, ossessiva ripetitività delle forme di vita nelle grandi metropoli.
Nato in Germania nel 1954, cresciuto negli Stati Uniti e in Canada, “adottato” da Hong Kong nel 1994, metropoli a cui ha legato alcuni delle sue più famose serie fotografiche e che è divenuta oggi la sua ultima città, dove è scomparso all’età di 64 anni.
Il mondo della fotografia piange la morte di Michael Wolf, che come pochi nel panorama contemporaneo ha saputo costruirsi una cifra stilistica distintiva pur scegliendo di volta in volta soggetti diversi, sempre attuali.
Potremmo dire che, come la sua celebre serie Architecture of Density (da cui è tratta l’immagine sotto), Michael Wolf è stato il fotografo della densità. In un modo che concettualmente richiama i suoi connazionali della Scuola di Dusseldorf, Wolf ha “catalogato” il mondo: quello del consumismo e della sovrapproduzione di oggetti in The Real Toy Story, che mostra le fabbriche cinesi di giocattoli destinati al mercato occidentale; quello sovrappopolato di Tokyo Compression, serie di ritratti di viaggiatori della metropolitana schiacciati contro i finestrini dei vagoni (come nel ritratto stesso di Michael Wolf, in apertura di articolo); quello “sopraelevato” dei grattacieli di Hong Kong, documentati appunto nel progetto citato in apertura. Sì, c’è sempre stato un “di più”, un “troppo” nelle rassegne di immagini prodotte da Michael Wolf: una ripetizione di un unico modello o concetto, in una sequenza di varianti potenzialmente infinite.
Eppure, proprio all’ossessiva ripetitività della vita nelle grandi metropoli – dove il singolo è statisticamente un’inezia, perso nei milioni di persone, tra le migliaia di strade ed edifici – Michael Wolf ha saputo contrastare la sua straordinaria capacità di cogliere l’irregolarità, la variante appunto, quel minimo apporto creativo dell’individuo che per un attimo riesce ad appropriarsi di un brano di mondo, sottrarlo alla trama geometrica e razionale dell’organismo-megalopoli e lasciarvi la propria impronta.
Ne è un esempio il progetto Bastard Chairs, da cui poi ha avuto origine il libro Sitting in China del 2002, interamente dedicato alle sedie, appunto, riparate ingegnosamente utilizzando qualsiasi materiale e tecnica disponibile.
Di più, lo sguardo di Michael Wolf è sempre stato così acuto – sensibile, anche metaforicamente – che nel 2011 è riuscito ad aggiudicarsi una menzione d’onore al World Press Photo Contest per una serie di immagini che neppure aveva scattato: in A Series of Unfortunate Events, Wolf aveva estratto dai percorsi animati di Google Street View una serie di frame che documentavano eventi accidentali, come incidenti stradali o la semplice presenza di animali nell’inquadratura.
Dimostrando l’impossibilità di “escludere” l’elemento vitale – e la sua imprevedibilità – da qualunque scenario; parallelamente, confermando che a fare il fotografo non è l’obiettivo ma l’occhio curioso, inquisitore, che mai smette di osservare il mondo.