Once again: come in una poesia di William Wordsworth, la mostra che sta per inaugurare al Getty Center di Los Angeles suscita la sensazione di vedere in modo nuovo un luogo, un volto familiare. Conosciuto e sconosciuto allo stesso tempo. Merito delle serie fotografiche, che gli artisti realizzano per documentare ciò che resta e ciò che invece cambia nel tempo, tanto dei paesaggi quanto delle persone.
Come può la fotografia documentare lo scorrere del tempo e i cambiamenti che si verificano, senza ricorrere all’immagine in movimento tipica del cinema? La risposta è nella mostra che inaugurerà il prossimo 9 luglio a Los Angeles, presso il Getty Center: visitabile fino al 10 novembre, Once. Again. Photographs in Series individua appunto nella serialità lo strumento attraverso cui i fotografi riescono a documentare le trasformazioni, che avvengano nel paesaggio o nelle persone da cui sono circondati, colti in momenti differenti.
Il percorso espositivo prende le mosse dai diversi viaggi compiuti da Gordon Parks in Brasile, per ritrarre – decennio dopo decennio – la vita di Flávio da Silva. Gordon
Parks: The Flávio Story, così si intitola il corpus di scatti, è in mostra presso le gallerie del Center of Photographs, ma appunto da qui ha inizio la riflessione sulla serialità, declinata nella ritrattistica.
Ne è un perfetto esempio il lavoro di Alfred Stieglitz, che ha ritratto a più riprese Georgia O’Keeffe nel corso dei 30 anni di tumultuosa relazione che li ha visti assieme: le immagini testimoniano tanto i cambiamenti nel rapporto di coppia quanto nello stile dello stesso fotografo.
Ci sono poi ritratti contemporanei che raccontano non soltanto di rapporti personali, ma della storia di un’intera nazione. È il caso del reportage realizzato dal fotogiornalista Seamus Murphy in Afghanistan, che ha documentato la vita di una famiglia vittima – emotivamente e fisicamente – del regime talebano.
E il paesaggio? Molti altri artisti si sono concentrati sui cambiamenti dell’ambiente, dovuti sia alle stagioni sia all’intervento umano. La serie di fotografie aeree scattate da William A. Garnett nel 1953, per esempio, riescono a testimoniare il “prima e dopo” di un boschetto di alberi di noce, abbattuto per far spazio a un progetto residenziale.
Probabilmente meno drammatica e decisamente più romantica è invece la serie dedicata al Golden Gate Bridge da Richard Misrach, che ogni sera ha fotografato al tramonto il paesaggio dalle colline di Berkley, in California: alcuni dei suoi cieli infuocati fanno parte della mostra al Getty Center.
Infine, a metà strada tra paesaggio naturale e ritratto c’è il paesaggio che porta le tracce dell’uomo, ovvero l’ambiente urbano. Anch’esso è soggetto a cambiamenti e trasformazioni, che immancabilmente gli artisti cercano di testimoniare. Per esempio, Camilo José Vergara ha fotografato per più di 40 anni sempre la stessa facciata di un edificio di Harlem, mentre veniva sottoposto a passaggi di proprietà, interventi di rinnovamento, persino una divisione dell’architettura in due diverse unità.
“Once again è una frase ripetuta in una poesia di William Wordsworth”, ha spiegato Mazie Harris, curatrice della mostra. “Era affascinato dalla potente sensazione che si prova quando visitiamo nuovamente un posto familiare. Da una parte, il poeta fa esperienza del luogo in tempo reale, dall’altra però è cosciente di essere stato lì prima. I fotografi in questa esposizione provocano la stessa sensazione: offrono l’opportunità di vedere luoghi e persone in modo nuovo, anche mentre vediamo documentati i profondi cambiamenti vissuti nel corso del tempo.”
[Immagine in apertura: Milton Rogovin, Michael and Pam, 1984 – 1992, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles © Milton Rogovin]