L'autoritratto come modalità di ricerca della propria identità: i settanta scatti della tata-fotografa, esposti a Trieste per tutta l'estate, aprono un varco nella misteriosa esistenza di Vivian Maier.
Sono superfici riflettenti, specchi, vetrine di negozi i “luoghi” scelti da Vivian Maier per ritrarre la sua stessa figura; insieme, naturalmente, alle sue inseparabili macchine fotografiche. L’incredibile ascesa della “tata fotografa”, passata dall’anonimato alla grande popolarità nell’arco di poco più di un decennio, continua a ispirare progetti espositivi in giro per il mondo. Per tutta l’estate – dal 20 luglio al 22 settembre – la mostra Vivian Maier. The Self-portrait and its Double terrà alta l’attenzione sulla fotografia, “salvata dall’oblio” grazie a una serie di casi fortuiti, negli spazi del Magazzino delle idee, a Trieste.
Curata da Anne Morin di Chroma Photography – Madrid, realizzata e organizzata dall’ Ente Regionale per il Patrimonio Culturale, in collaborazione con John Maloof Collection e Howard Greenberg Gallery di New York, la rassegna si concentra sulle modalità con cui l’artista vedeva se stessa e sul suo modo di percepire il mondo che la circondava.
“Se hai qualcosa da dire, meglio farlo stando dietro la macchina da presa che di fronte“, è una delle frasi che le viene attribuita e raccoglie il senso dell’indagine condotta sulla sua stessa persona. Nella serie di autoritratti esposti al Magazzino delle Idee, emerge quella che viene considerata “una firma nei suoi autoritratti“: si tratta della presenza dell’ombra, una sorta di copia del corpo in negativo, “ricavato dalla realtà”, che se da una parte dimostra l’esistenza di un soggetto, dall’altra sembra in grado di annullarne la presenza.
Le opere selezionate per questo appuntamento appartengono all’impressionante “archivio” scoperto da John Maloof, fotografo per passione e agente immobiliare per professione. Lo compongono oltre 120mila negativi, filmati in super 8mm e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune fotografie e centinaia di rullini non sviluppati. Si tratta di materiali riuniti, con discrezione e passione, da Maier nell’arco della sua vita: scomparsa nel 2009, per oltre quarant’anni la fotografa lavorò come tata, destinando solo il tempo libero alla sua passione. La realtà quotidiana, le persone incontrate casualmente, le situazioni e gli istanti catturati con spontaneità, ma anche i viaggi in giro per il mondo furono tra i suoi soggetti d’elezione. Le sue immagini, e l’affascinante storia del loro ritrovamento, continuano a suscitare interesse e curiosità.