La fotografa Inge Morath – prima donna a entrare nell'agenzia Magnum Photos – sta per essere protagonista di un nuovo progetto espositivo: una mostra al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano per raccontare le sue straordinarie vicende artistiche e umane.
La storia della fotografia ci ha regalato figure tra le più memorabili dell’arte del Novecento: donne e uomini che, sfidando i limiti della società del tempo, hanno saputo affermarsi (e affermare la loro ricerca) sopra ogni ostacolo e pregiudizio. Tra le vicende più significative e romanzate di sempre c’è senza dubbio quella di Inge Morath, ricordata anche e soprattutto per essere stata la prima donna accolta nella celebre agenzia Magnum Photos. Il carattere controcorrente e l’abilità artistica della fotografa austriaca saranno presto al centro di un importante progetto espositivo, pronto ad aprire i battenti nelle sale del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano.
In programma dal 19 giugno al primo novembre, la mostra – dal titolo Inge Morath. La vita. La fotografia – si propone di raccontare, attraverso un corposo tragitto visuale, i traguardi professionali e nondimeno le vicende umane di questa intrepida pioniera della macchina fotografica. Succede grazie alle 150 immagini e documenti originali allestiti nello spazio da Brigitte Blüml–Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz, curatori del progetto.
Disposte in ordine cronologico, le opere tracciano in modo completo e metodico lo straordinario percorso artistico della Morath, dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson, fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, LIFE, Paris Match e Vogue. Il tutto mettendo in risalto i principali reportage realizzati in vita dall’artista, nota per il suo approccio sistematico che la spingeva, prima di ogni progetto, a studiare e approfondire le culture con cui si sarebbe rapportata. Tra i capitoli più noti della sua attività, il servizio realizzato tra i quartieri popolari di Venezia nel 1953 e quello compiuto a Parigi nel 1958, al fianco di “numi” dello scatto come Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa.
“Nelle fotografie di Inge Morath emerge sempre una componente di vicinanza, non solamente fisica, ma soprattutto emotiva”, sottolinea Marco Minuz. “Il suo è un lavoro diretto, privo di zone d’incertezza o di mistero. Le sue immagini hanno sempre la capacità di non semplificare mai ciò che è complesso, e mai complicare quello che è semplice”.
Ma soprattutto, a trasparire da ognuna delle fotografie in mostra è la sensibilità di una donna interessata – forse prima di ogni altra cosa – alla ricerca della verità interiore. Un aspetto essenziale (ed esistenziale) evidente in molti scatti dedicati alla sfera privata e alla quotidianità, pure presenti in mostra: ritratti, momenti di vita mondana e attimi di apparente insensatezza, “catturati” fino a mostrare la loro unicità.
[Immagine in apertura: Inge Morath, Autoscatto, Gerusalemme 1958, © Fotohof archiv / Inge Morath / Magnu Photos]