Il 18 settembre 1970 ci lasciava Jimi Hendrix, chitarrista simbolo del rock e della rivoluzione hippy. A mezzo secolo di distanza dalla sua scomparsa, il nuovo libro di Alberto Rezzi si sofferma sul valore “filosofico” della sua ricerca, tra pulsioni terrene e viaggi sensoriali.
“Cinquant’anni senza Hendrix, eppure nessuno è ancora riuscito a dimenticare una delle personalità più geniali della musica, né, tantomeno, a eguagliarla”. Sono queste le parole scelte da Alberto Rezzi per presentare il suo ultimo libro, La filosofia di Hendrix, un vero e proprio “trip” nei linguaggi e nelle esplorazioni artistiche e sensoriali del grande chitarrista di Seattle.
Noto per i suoi volumi dedicati alla forza creativa di Eric Clapton e Pat Martino, l’autore punta questa volta i riflettori sugli interessi poetici, sul simbolismo e sul valore “rituale” delle performance dell’artista, nome di riferimento del rock e della psichedelia degli anni Settanta.
Stando al contenuto del volume – edito da Mimesis Edizioni (nell’immagine di apertura un dettaglio della copertina) – quella messa in atto da Jimi Hendrix fu infatti una rivoluzione che travalicò i confini dell’arte per approdare ai territori della meditazione, della trascendenza e della ricerca di mondi “altri”. Gli esempi e le “prove” offerti al lettore da parte di Rezzi non sono pochi: che si tratti di Giordano Bruno o Nelson Goodman, i grandi pensatori del passato vengono posti in dialogo con lo spirito creativo del musicista, mettendo a segno un volume speculativo d’indubbio fascino.