È una iniziativa destinata a entrare negli annali espositivi d'oltreoceano quella messa in campo dalla Dia Art Foundation, che inaugura una ricca retrospettiva su Mario Merz, pilastro del filone poverista. La prima in una sede istituzionale americana dal 1989 a oggi.
La pandemia non ferma una delle sedi culturali ed espositive più note del panorama americano. Stiamo parlando della Dia Art Foundation, che nella sua sede di Beacon, a un centinaio di chilometri da New York, rende omaggio a un indiscusso protagonista della scena creativa italiana del secolo scorso, nel solco della lezione poverista.
La mostra ‒ che dopo trent’anni accende i riflettori sulla poetica di Mario Merz all’interno di una istituzione americana ‒ affianca le opere dell’artista di origine milanese, ma torinese d’adozione, scomparso nel 2003, a quelle incluse nella raccolta targata Dia, offrendo un esaustivo colpo d’occhio sulle istanze e sui linguaggi visivi che caratterizzarono il periodo incluso fra gli anni Sessanta e Settanta a livello globale.
Protagonista della rassegna è dunque la parabola di un artista chiave per lo sviluppo di un inedito approccio alla materia, tanto in ambito nostrano quanto sul fronte internazionale, evocato attraverso interventi divenuti emblema di uno stile che ha rintracciato nella concretezza dell’oggetto e nelle potenzialità della luce al neon nuovi strumenti di interpretazione del reale.
Teatro Cavallo e Tavola Spirale ‒ recentemente acquisiti dalla Dia Art Foundation ‒ si sommano alle opere presenti in mostra, fra le quali spiccano due igloo ‒ archetipo formale scelto da Merz come simbolo di una riflessione sui temi dell’adattamento e del nomadismo in un’epoca dominata da pesanti cambiamenti economici e sociali ‒ e la Progressione di Fibonacci, elaborata dall’artista nell’arco di quarant’anni e allestita lungo il corridoio est dell’edificio americano, nel solco del dialogo tra l’opera e l’ambiente innescato dallo stesso Merz. Il risultato è un mosaico ben calibrato dal quale emerge l’inesauribile attualità dell’artista, la cui pratica, come sottolinea la curatrice Matilde Guidelli Guidi, “mantiene la sua radicalità ancora oggi e anticipa le tendenze sociopolitiche e materiali dell’arte contemporanea“.
[Immagine in apertura: Mario Merz, Teatro Cavallo, 1967. © 2020 Artists Rights Society (ARS), New York / SIAE, Rome; courtesy Christie’s Images Limited]