Artista e studiosa del linguaggio, Sabrina D’Alessandro torna in libreria con una nuova edizione de “Il libro delle parole altrimenti smarrite”: un prezioso compendio in omaggio a tutti quei termini dimenticati o poco usati della nostra lingua.
Dove finiscono le parole una volta che la loro utilità si è esaurita? C’è un luogo in cui esse vengono raccolte, accatastate, prima di essere completamente smaltite dalla memoria della storia? Se lo è chiesto, e continua a farlo, Sabrina D’Alessandro, fondatrice di un ente “preposto al recupero di parole smarrite benché utilissime alla vita sulla terra”: l’Ufficio Resurrezione Parole Smarrite.
Sulla base di questa esperienza, portata avanti negli anni con iniziative a carattere artistico e lessicale, nasce oggi un tesoretto di oltre 400 pagine: una pregevole raccolta di termini dimenticati, poco usati, caduti nell’oblio e per l’occasione ripescati attraverso un’operazione dal sapore archeologico e quasi commovente.
Pubblicato da Bur, Il libro delle parole altrimenti smarrite (già dato alle stampe nel 2011, e riproposto in una nuova edizione) è un concentrato di chicche per amanti della lingua e della realtà sensibile (se è vero che ognuno dei termini qui offerti al lettore costituisce una chiave di lettura di un aspetto, di una sfumatura o di un frammento del mondo).
“Salapùzio”, “sinforosa”, “troppodire”, “redamare”. Le voci lessicali sono tantissime, e tutte catalogate dall’autrice secondo temi universali quali l’amore, i mestieri, la politica, gli improperi, le gioie e le stupidità umane. Queste parole esistono anche per aiutarci a vedere e a vivere meglio: tornare a usarle, tornare ad apprezzarle e ad amarle non significa solo salvaguardare un patrimonio linguistico, ma alimentare la ricchezza e l’allegria del nostro immaginario profondo.
[Immagine in apertura: Parole al balcone, opera di Sabrina D’Alessandro per il Premio Suzzara, 2018. Courtesy l’artista]